L’ULTIMA CROCIATA

VIAGGIO IN MOTO IN TERRASANTA

 

ISRAELE - Al crocevia di Asia, Africa ed Europa, Israele è qualcosa di più e di diverso di una vacanza. È un’esperienza unica, che alle normali finalità di un viaggio unisce aspetti più sottilmente spirituali, come se l’impatto con questa terra stimolasse una sorta di introspezione. Pellegrini in cerca del loro Dio, archeologi in cerca del passato, vacanzieri in cerca del sole e delle spiagge, tutti soggiacciono all’atmosfera di questi luoghi, percorsi in passato da profeti ed eroi, da guerrieri ed eremiti, caratterizzati oggi dalla presenza degli Ebrei, giunti da tutto il mondo per ricostruire il “loro” Stato, e degli Arabi, tenacemente attaccati alla “loro” terra.

PENISOLA DEL SINAI - Limitata dal Mediterraneo a Nord, dal golfo di Suez a ovest e da quello di Aqaba a est, la penisola del Sinai si estende tra Africa e Asia. Conquistata con la forza dagli israeliani nel 1967, al centro degli accordi di Camp David nel 1979, fu progressivamente restituita all’Egitto fra il 1981 e il 1982. Il suo territorio è in gran parte disabitato, quasi tutto steppa e deserto; tuttavia, con i suoi massicci scoscesi, le valli anguste e isolate, gli scenari montani e gli splendidi panorami, offre uno dei paesaggi più suggestivi dell’intero Egitto. È conosciuta in tutto il mondo ed è una meta ambita dai sub, per i fondali della barriera corallina che possiede e la vasta gamma di pesci che qui si possono ammirare. Sul monte Sinai, Mosè ricevette le tavole della legge.

Il nostro viaggio in questi paesi risale all’anno 1997.

 

“Ancora una volta sulla breccia”, per ripetere i versi di Enrico V°.

La nostra ”breccia” è la scomodissima sella del Tenerè.

La meta questa volta è il paese sacro alle tre grandi religioni monoteiste, Israele, e come visita aggiuntiva, la vicina penisola egiziana del Sinai.

Traghettiamo dall’Italia alla Grecia, con uno dei bei traghetti della compagnia greca “Superfast”, che effettua la tratta da Ancona, Igoumenitza e Patrasso. Sbarchiamo a Patrasso verso sera, campeggiamo al paese di Krionéri (acqua fredda), affacciato sul golfo di Patrasso; il traghetto Pireo – Haifa parte la sera seguente, quindi la giornata di domani la dedichiamo alla ricerca delle cascate dello Stige, uno dei fiumi infernali secondo la mitologia greca. Tali cascate si trovano in questa zona, sul monte Chelmòs; per arrivarvi si costeggia il letto di un fiume, ora chiamato Mavronéri (acqua nera), che altro non è che l’antico Stige. Narrano le leggende che l’acqua dello Stige sia velenosissima, e gli antichi credevano addirittura che Antipatro avesse avvelenato Alessandro Magno con quest’acqua, che veniva usata anche per i giuramenti. Le acque dello Stige si gettano in una gola di roccia nera, e spariscono sottoterra. Per questo motivo si credeva che questa fosse una delle porte di ingresso agli inferi. Noi camminiamo tutto il giorno, lungo ripidi sentieri di montagna, ma probabilmente ci siamo persi e all’imbrunire le cascate ancora non si trovano; siamo stanchissimi, quindi, a malincuore, ritorniamo sui nostri passi, senza aver visto le porte dell’inferno. Però abbiamo passeggiato lungo il corso dello Stige, abbiamo bevuto le gelide acque del fiume infernale per provarne l’effettiva velenosità, e chissà, se abbiamo fortuna, possiamo incontrare Cerbero.

È una zona bellissima e incontaminata, bisognerebbe fermarsi su queste montagne e in questi boschi per diversi giorni, ma l’indomani ci attende la nave per Israele.

La mattina seguente partiamo per il Pireo, dove arriviamo intorno a mezzogiorno. Ci occupiamo subito del disbrigo delle formalità doganali, e attendiamo l’orario previsto per la partenza. Nel frattempo, arrivano altre due moto con due coppie di Milano, anche loro diretti in Israele, con i quali scambiamo quattro chiacchiere. Finalmente ci imbarchiamo; questa nave, della compagnia cipriota Poseidon Lines, è piuttosto piccola e vecchia, e farà scalo a Creta, Rodi e Cipro prima di arrivare ad Haifa, dopo due giorni. Dividiamo la cabina con il nostro compagno di viaggio, Paolo, una altro appassionato motociclista, mio ex collega di lavoro (viaggia con Honda Dominator); le cabine, da quattro, sono buone, non altrettanto il self service (si mangia molto male). Il primo scalo è Iraklion, a Creta, dove la mattina presto scendiamo a visitare la città, anche se comunque l’avevamo già vista anni fa. Ci fermiamo a fare uno spuntino in un simpatico locale e attendiamo la ripartenza della nave. Il secondo scalo è la bellissima e antica Rodi città, sull’isola omonima, dove arriviamo nel pomeriggio. Abbiamo più tempo a disposizione questa volta e, anche se pure qui siamo già stati più di una volta, ci godiamo la visita del centro storico di Rodi, pieno di vestigia del passato e di bei negozi. Ci reimbarchiamo. Il giorno seguente arriviamo al terzo dei nostri scali, Limassol, a Cipro. Qui la nave sta ferma ben mezza giornata, quindi possiamo girare la città in lungo e in largo. Limassol in realtà non è molto interessante; passeggiamo sul lungomare, pranziamo in un bel ristorante dove cucinano pesce (ottimo!), e nel pomeriggio, per passare il tempo, visitiamo lo zoo.

Verso il tramonto, la nave riparte. Il mattino seguente, alle prime luci dell’alba, la nave entra nel porto di Haifa, immerso in una surreale luce rosa.

Haifa è una città moderna, che si inerpica sulle alture antistanti il mare, ed è anche un porto militare. Sbarchiamo e ci apprestiamo alla dogana, che, come noto, in Israele è un osso piuttosto duro. Ci fanno parecchie di domande, passano con i cani a far fiutare auto, moto, bagagli. Chiediamo all’addetto ai visti sui passaporti la cortesia di apporre il timbro israeliano su un foglietto separato dal passaporto stesso, in quanto dopo ci sarebbe proibito l’ingresso in diversi paesi arabi, come Siria, Libano, Libia, Arabia Saudita.

Con relativa facilità (pensavamo peggio) completiamo le formalità doganali, e ci mettiamo in strada. Decidiamo di raggiungere per prima la località marittima di Elat, sul Mar Rosso, per poi da qui inoltrarci nel Sinai. Il resto di Israele lo visiteremo al ritorno. Da Haifa ad Elat ci sono circa 400 chilometri; Israele è un piccolo paese, le distanze per gli spostamenti sono molto ridotte.

Scendiamo verso sud costeggiando il mare fino a Tel Aviv, poi ci spostiamo verso l’interno. A Be’er Sheva ci fermiamo a visitare il rinomato mercato beduino; in realtà di beduino è rimasto ben poco, ormai è solamente un mercatino moderno pieno di bancarelle colorate che vendono merci di ogni specie. Facciamo qualche acquisto (almeno i prezzi sono convenienti) e ripartiamo, attraverso il deserto del Negev.

Il panorama del Negev è molto suggestivo, anche se arido e inospitale, il caldo è torrido, ma per fortuna le strade sono in ottime condizioni.

Incontriamo parecchi mulinelli, insidiose piccole trombe d’aria che sollevano vortici di sabbia e se ti colpiscono in moto, facilmente ti fanno sbandare. Ci fermiamo a pranzare in un self service sulla strada. Normalmente evitiamo di addentrarci nelle grandi città, e preferiamo scegliere ristoranti e locande sulle strade principali.

Un ragazzo che lavora al self service, incuriosito dai turisti in moto, si avvicina per chiacchierare, a ci regala dei frutti strani di colore rosa, che non abbiamo mai visto, creati artificialmente incrociando pompelmi con qualche altro frutto. Il termometro segna già + 40°. Nel primo pomeriggio arriviamo a Elat, bella cittadina sul Mar Rosso, separata da pochi metri di terra dalla giordana Aqaba. Ad Elat, chi ama la vita di spiaggia ben organizzata, gli alberghi lussuosi, i locali notturni, i grandi centri commerciali, trova pane per i suoi denti. Pur tuttavia, questa cittadina conserva ancora un aspetto tipico mediorientale, affascinante. Troviamo un campeggio un pò desolato (le uniche tende sono i nostri “igloo”) e ci accampiamo. I prezzi in Israele per noi italiani sono molto alti, pernottare negli alberghi diventerebbe proibitivo. Il caldo è soffocante, di giorno si fatica veramente a muoversi; Il campeggio è proprio a pochissimi chilometri dal confine egiziano di Taba, e sulla stessa strada c’è il bellissimo parco marino, “The Underwater Observatory”, e il “Dolphin Reef”, il delfinario. Il primo giorno è dedicato alla visita del Timna Park, una ventina di chilometri da Elat. Questo è uno dei tanti parchi nazionali israeliani; si tratta di un territorio desertico roccioso, ricco di selvaggi panorami, dove lunghi sentieri percorribili a piedi, in bici, auto o moto collegano i vari luoghi di interesse.

Questa zona era nota già nel  III° millennio a.c. per le sue miniere di rame, che furono sfruttate dai faraoni egiziani e in seguito da re Salomone, dai Nabatei di Petra e dai Romani. Le antiche miniere sono ancora visibili. L’erosione del vento e le infiltrazioni d’acqua hanno creato uno scenario minerale dalle forme maestose e surreali, come i “Pilastri di Salomone” (singolari formazioni rocciose alte circa 50 m), il cosiddetto “Fungo”, gli “Archi”, i “Carri da Guerra”, la “Collina degli Schiavi”. Appunto nella zona denominata “Archi”, Enzo e Paolo, con temperature oscillanti intorno a + 50°, decidono di inoltrarsi “brevemente” tra le formazioni rocciose alla scoperta delle bellezze naturali. Io rinuncio e propongo di aspettarli, nel frattempo raccogliendo le “Pietre di Elat”, minerali di colore verde smeraldo che si trovano solo in questo luogo del mondo, con i quali vengono realizzati gioielli. Se ne trovano parecchi in mezzo alle rocce; anche se non sono di grande valore, sarebbe comunque vietata la loro asportazione. Ne nascondo un po’ nel marsupio, e mi sistemo sotto una stretta striscia di roccia che mi fornisce un po’ d’ombra, nell’attesa del rientro dei due esploratori. Ovviamente tardano, il caldo è infernale e la mia striscia d’ombra cala sempre più, inoltre ho esaurito le scorta d’acqua della borraccia, e non c’è anima viva. Quando sto cominciando a soffrire per l’arsura e a pensare che la loro fosse una scusa per abbandonarmi nel deserto e liberarsi di me, ritornano, a pezzi e con le magliette sulla testa per il gran calore.

Enzo ha raccolto un grosso minerale ferroso dalla forma strana, che decidiamo di tenere per ricordo e che infiliamo nel bauletto della moto. Visto che abbiamo tutti esaurito le forze nella spedizione, ed io non ne posso più dalla sete, ci avviamo con le nostre moto ad un luogo di ristoro che sorge sulle rive di un piccolo lago. Fortunatamente l’aria condizionata in Israele non manca mai. Ci riprendiamo, facciamo uno spuntino, e nel pomeriggio rientriamo a Elat. Ce ne andiamo un po’ in spiaggia, in una piccola insenatura fuori dal paese, verso il confine egiziano. Ceniamo in un simpatico piccolo ristorante nel centro di Elat: il piatto tipico è il “felafel”, polpette a base di ceci e semi si sesamo, e ce lo propinano ovunque. Il giorno seguente andiamo a vedere il “Dolphin Reef”, che consiste in una grandissima porzione di mare recintato. All’interno vivono almeno una ventina di delfini, maschi e femmine con i cuccioli. Qui i simpatici mammiferi non vengono “ammaestrati” come animali da circo, ma vivono in uno stato praticamente naturale. Il fondale marino è basso; i visitatori possono ammirarli da una serie di passerelle in legno, alle quali gli animali,  che hanno molta confidenza con gli “umani”, si avvicinano moltissimo,  sporgendo i musetti fuori dall’acqua e osservandoci con espressione incuriosita. Ogni tanto si esibiscono spontaneamente in spettacolari salti. Pagando un costosissimo biglietto supplementare, si può scendere a nuotare e giocare con loro, accompagnati da un inserviente del delfinario. Ci piacerebbe molto fare questa esperienza, ma qui in Israele è tutto estremamente costoso, e c’è davanti a noi l’intero viaggio; abbiamo quindi capito che dobbiamo risparmiare per le eventuali emergenze. Pertanto desistiamo dalle spese eccessive, ivi compresa la nuotata con i delfini.

Il giorno seguente, al mattino, visitiamo l’osservatorio sottomarino, sicuramente uno dei più belli al mondo. Anche questo è parzialmente ricavato da una porzione di mare recintato, ed è costituito da diverse vasche che contengono le tante specie di abitanti del Mar Rosso. La più spettacolare è la vasca degli squali, enorme, nella quale nuotano almeno 10 squali di razze diverse, (c’è anche il grande squalo bianco, uno dei più aggressivi) con i loro pesci pilota. Alcuni squali hanno segni di morsi sul corpo; probabilmente ogni tanto si azzuffano tra loro. Poi c’è la vasca delle mante, quella delle testuggini, quella delle meduse, altre vasche con pesci di tantissime razze diverse, coloratissimi. Le vasche e i loro abitanti si possono ammirare da sopra, tramite passerelle, o di fianco, da un locale sotterraneo fornito di vetrate. Questa è una visita da non perdere assolutamente, se andate in Israele. Una lunga passerella si inoltra in mezzo al mare, e porta i visitatori ad una costruzione a forma di torre, vagamente fantascientifica, che sprofonda 10 metri sott’acqua, nella barriera corallina. All’interno, alcuni ascensori portano giù, ai piani inferiori sommersi, dalle cui vetrate si possono osservare i pesci in libertà che vivono nella barriera. Ci sono pesci pagliaccio, pesci pipistrello, barracuda, pesci balestra picasso, pesci farfalla, pesci pappagallo (dalla bocca a forma di becco di pappagallo), murene, razze, pesci angelo, pesci Napoleone, pesci unicorno, banghi, pesci scoiattolo,  labri, e vediamo addirittura alcuni pesci scorpione, dagli aculei velenosi, che si avvicinano e ci guardano incuriositi. Risalendo ai piani superiori della torre, ci sono un ristorante, un bar e un negozio di souvenirs. Torniamo all’esterno, e visitiamo la parte riservata ai pesci provenienti dall’oceano. Per chi è interessato, c’è anche un sommergibile giallo che effettua immersioni e consente di visitare la barriera corallina e i suoi abitanti. Anche questo è molto caro, quindi rinunciamo. L’indomani, ci apprestiamo a entrare nella penisola del Sinai. Dovete sapere che per entrare in Egitto con un mezzo proprio, bisogna effettuare dall’Italia il “carnet de passage”, ovvero versare l’intero valore del mezzo (valore da nuovo!). La cifra ti viene poi restituita al rientro in Italia. Questa legge impedisce agli stranieri di vendere in Egitto i propri automezzi, cosa che evidentemente avveniva con frequenza in passato, tanto da spingere il governo egiziano a introdurre questa norma.

Per non dover versare l’intero valore del veicolo, si può richiedere una fideiussione bancaria: in pratica, la banca garantisce per te che tornerai in patria con il tuo mezzo, ma comunque anche questa operazione ha un valore non indifferente, che varia in percentuale in base al valore del veicolo nuovo. Noi non abbiamo fatto il carnet in Italia, perché “voci” di motociclisti ci avevano riferito che per visitare la Penisola del Sinai, in frontiera viene rilasciato un visto temporaneo di una settimana, che consente di entrare anche senza carnet. Arriviamo dunque a Taba, circa 4 chilometri dal nostro campeggio, dove c’è il confine Egitto - Israele. Dopo aver compilato innumerevoli moduli, aver fatto passare al metal detector ogni minimo pezzo del bagaglio, dopo aver risposto a qualche migliaio di domande riusciamo ad uscire dalla frontiera israeliana. A pochi metri di distanza c’è la dogana egiziana. Dopo i soliti innumerevoli moduli da compilare, controllo delle moto, controllo dei bagagli al metal detector, affrontiamo il funzionario che deve darci in visto di ingresso. Dopo qualche ora di animata discussione, non si sa bene in quale lingua, ci rendiamo conto che ci hanno informati male; non è assolutamente vero che è possibile entrare in Sinai con il proprio mezzo, senza il famoso carnet. Il funzionario ci fa capire, tra le righe, che, a fronte di una consistente mancia, può farci avere una targa egiziana da apporre alla moto, per poter aggirare il problema della mancanza del carnet, ma è comunque una manovra illegale.

Ci ragioniamo un po’, ma non accettiamo. Ci sembra rischioso, nel caso ci fermi la polizia, non avere i documenti in regola, anche perché In questi paesi polizie e prigioni non sono all’acqua di rose.

Quindi, giriamo i tacchi e ritorniamo in Israele. Altra notevole perdita di tempo alla frontiera israeliana, altre mille domande, nuovamente smontati i bagagli. Inoltre, il grosso minerale ferroso che Enzo ha raccolto al Timna Park fa suonare l’allarme delle apparecchiature che controllano le valige. Dopo un attimo siamo attorniati da poliziotti armati di mitragliatori, tra i quali molte donne, che ci guardano con sospetto. Enzo apre tutta la sua valigia, tira fuori ogni cosa e mostra il famoso minerale ai poliziotti; finalmente ci lasciano andare, dopo che abbiamo riposto nuovamente tutti i nostri vestiti ed oggetti nelle valigie svuotate. È stata una giornata infernale, non ne possiamo più! Del resto però, inconvenienti come questo sono da mettere in preventivo quando si viaggia all’avventura.

Finalmente, verso sera riusciamo a tornare al campeggio. Abbiamo perso l’intera giornata tra le due frontiere, senza riuscire a passare nel Sinai. Ci consultiamo con il nostro amico Paolo, per decidere il da farsi. Alla fine, ci accordiamo con i gestori del campeggio di Elat affinché ci tengano in custodia le moto per una settimana, e ripartiamo il giorno seguente all’attacco della frontiera. Altre ore di controlli e compilazione di documenti, e passiamo nuovamente il confine, questa volta a piedi. Dopo le formalità della frontiera egiziana, riusciamo e mettere piede sul territorio della penisola del Sinai. Troviamo un autista che si offre di portarci in giro. Ce ne sono parecchi, che aspettano ogni giorno coloro che vengono a piedi (probabilmente per il famoso problema del carnet) da Elat e che vanno nel Sinai a farsi il week end, tra i quali moltissimi israeliani.

Partiamo verso sud, con lo spericolato egiziano che guida da far paura. Costeggiamo il Mar Rosso; i panorami sono molto belli, il nostro autista fa una sosta per farci fotografare la cosiddetta Isola dei Faraoni (Geziret el-Fara’in), un massiccio di granito contornato da coralli, di una incredibile bellezza brulla e selvaggia, sulla quale si erge un diroccato castello crociato. Durante il tragitto parliamo col nostro autista, e ci lasciamo consigliare di fermarci a Dahab anziché proseguire per Sharm el Sheikh. Ci fa capire che Sharm è molto turistica, mentre Dahab è un piccolo paese caratteristico. Mai consiglio fu più felice. In effetti Dahab ci entusiasma; è un villaggio di beduini affacciato su uno splendido mare, dove non hanno nemmeno asfaltato l’unica strada del paese. Il nostro accompagnatore ci consiglia poi un albergo, il “Dyarna”, molto buono dal punto di vista del rapporto qualità prezzo. Non è il tipico palazzone o villaggio, ma un insieme di palazzine a due piani che sorgono a semicerchio su una bella piscina, appoggiata direttamente sulla spiaggia. Ha stanze spaziose, belle, con un vasto terrazzo sul mare, tv e aria condizionata.

Durante la nostra permanenza nel Sinai, che si protrarrà per sei giorni, essendo privati delle moto abbiamo noleggiato un’auto.

Il primo giorno di permanenza lo dedichiamo interamente allo “snorkeling”. Noleggiamo maschera e pinne in hotel, e rimaniamo ore in mare in osservazione della splendida barriera corallina, a pochi metri dalla spiaggia. I pesci, gli stessi già descritti nel parco acquatico di Elat, di tutti i colori dell’arcobaleno, non hanno timore dell’uomo. Si avvicinano, ti osservano, quasi riesci a toccarli. Ogni tanto te ne trovi uno appiccicato al vetro della maschera, che ti fissa con i suoi occhi colorati. È bellissimo vedere come questi animali non siano per nulla intimoriti dagli osservatori umani.

Facciamo tantissime fotografie con una macchina subacquea usa e getta che abbiamo acquistato in paese.

Il giorno seguente, al mattino ci godiamo ancora il bellissimo mare; pranziamo in hotel (unico neo di questo albergo: si mangia piuttosto male), e il pomeriggio bighelloniamo per il paese di Dahab, facendo shopping. Qui si possono comprare bellissime bottigliette porta essenze di vetro colorato lavorate artigianalmente, tappeti, abiti di foggia mediorientale, papiri, statuette di alabastro, monili d’argento e d’oro.

Il paesino ha una fila di ristoranti proprio sulla spiaggia. Non ci sono sedie e tavolini, si mangia seduti in terra su tappeti, all’ombra delle palme. La prima sera abbiamo cenato in uno di questi locali, ma non abbiamo avuto molta fortuna; la cena era piuttosto mediocre.

Alla fine del paese, vediamo l’insegna “Dai Pescatori - ristorante italiano” (ma il cuoco, come presto scopriamo, è egiziano) e decidiamo di provarlo per la cena. Mangiamo pesce, cucinato veramente molto bene, e scopriamo che la mamma del cuoco e proprietario del piccolo ristorante è italiana e gli ha insegnato ottime ricette della nostra tavola. Ne siamo così entusiasti che vi ritorneremo tutte le sere. Inoltre, i prezzi sono molto inferiori a quelli che troveremmo in Italia per mangiare le stesse cose.

Andiamo a dormire presto, verso le dieci. Ci dobbiamo svegliare a mezzanotte perché abbiamo deciso di salire alla vetta del Monte Sinai, per vedere l’alba da lassù.

Verso le 00,30 di notte partiamo dall’hotel. Dobbiamo percorrere in piena notte, su strade sconosciute in mezzo al deserto assoluto, circa 120 chilometri, da Dahab fino al Monte Sinai (Gebel Musa), dove arriviamo verso le 02,00. Qui inizia l’ascesa. Ci sono molti altri turisti, nel buio pesto, che vengono in maggioranza dai villaggi turistici di Sharm el Sheik. Sono attrezzati con torce elettriche, e l’unica cosa che riusciamo a vedere sono appunto le tante lucine della processione di coloro che stanno risalendo il ripido sentiero. Ci incamminiamo anche noi. Ogni tanto incontriamo beduini che ci offrono dromedari per salire alla vetta, ma rifiutiamo. Vogliamo farcela con le nostre forze! Pessima idea: l’ascesa è faticosissima, la vetta del Sinai è a 2.285 metri, siamo morti di fatica. Spesso ci fermiamo a riposarci e a riprendere fiato. Inoltre, più saliamo, più l’aria è rarefatta, e più la respirazione è di conseguenza faticosa. L’ascesa dura circa tre ore. Finalmente, non ci sembra vero, conquistiamo la cima della montagna. Non ricordo in vita mia di avere mai fatto tanta fatica. Lassù c’è una piccolissima chiesa,  e una capanna che vende tè caldo. Infatti il vento è forte e molto freddo, e anche se siamo ben coperti, ci stiamo veramente congelando.

Quando i primi raggi di sole iniziano a illuminare di rosa le montagne circostanti, il panorama si rivela stupefacente. Assistiamo incantati allo spettacolo del levare del sole, finché la luce mattutina non illumina completamente le aspre montagne di luce arancio - rosa, poi beviamo un ultimo tè e iniziamo lentamente a scendere, da un sentiero diverso da quello della salita, più breve ma molto più ripido. Vi sono scorci panoramici bellissimi. Finalmente, in fondo ad una gola, vediamo la nostra meta, il Monastero di S. Caterina del Sinai. Continuiamo a scendere, e finalmente arriviamo al monastero. Ci sono altri turisti, che aspettano l’orario di apertura per le visite (questi però sono arrivati coi pullman!).

Ci sediamo anche noi su un muretto ad aspettare, ma il sonno e la stanchezza per l’enorme fatica prendono il sopravvento, e ci addormentiamo, seduti con la testa fra le mani.

Il monastero greco ortodosso di Santa Caterina del Sinai si trova ad un’altezza di 1.570 metri, è difeso da mura imponenti, costruite dall’imperatore Giustiniano sul luogo biblico del roveto ardente. Deve il proprio nome a Santa Caterina, martire alessandrina uccisa nel 395, il cui corpo, trasportato dagli angeli, sarebbe stato scoperto cinque secoli dopo in cima al monte che oggi porta il suo nome, il Gebel Katrina. L’interno del monastero conserva costruzioni di epoche differenti, e persino una moschea del X° secolo.

Quando finalmente arriva l’orario di apertura, entriamo a visitarlo. In realtà, e possibile vedere solamente gli esterni, i giardini e la chiesa della Trasfigurazione, in stile bizantino, con una bellissima e ampia collezione di icone. La biblioteca, non visitabile,  raccoglie la più importante collezione di manoscritti al mondo dopo quella dei Musei Vaticani. Possiede più di 4.500 opere arabe, greche, siriache, georgiane, copte, slave e armene.

Risaliamo in auto e torniamo a Dahab. Un po’ in spiaggia, un pranzo leggero sotto gli ombrelloni della piscina, poi a dormire, per recuperare la faticata della sera precedente!

Il giorno dopo, gita a Sharm el Sheikh, giustamente rinomata per il mare, veramente splendido. Ci fermiamo in una spiaggia molto bella; la barriera corallina qui è più lontana rispetto alla spiaggia del nostro hotel di Dahab, c’è un lungo tratto sabbioso di acqua molto bassa prima di arrivarvi, dove i pesci colorati vengono a nuotare intorno ai nostri piedi.

Il tragitto da Dahab a Sharm è in mezzo al deserto, con splendidi panorami di dune e montagne rocciose; branchi di dromedari brucano rinsecchiti cespugli, ogni tanto si intravede qualche tenda di beduini.

Verso sera, rientriamo a Dahab.

Il giorno seguente, riconsegniamo la macchina a noleggio, chiamiamo un autista e ci facciamo riaccompagnare a Taba. Nuovo iter alle frontiere egiziana e israeliana: per rendere l’idea del clima di tensione nel quale vivono qui, vi racconto questo episodio: Enzo appoggia a terra la borsa da serbatoio della moto, mentre consegna i documenti per il controllo. In pochi secondi arrivano tre soldatesse, armi imbracciate, che allarmate allontanano la gente, si avvicinano a Enzo e, indicando la borsa della moto, gli chiedono spiegazioni. Le rassicuriamo facendogli vedere che è solo un piccolo innocuo bagaglio. In Israele, ogni valigetta o borsa abbandonata può contenere una bomba. In ogni luogo pubblico, come un grande magazzino, ad ogni entrata ci sono militari che controllano a tutti borse e marsupi.

Mentre passano una delle nostre valige al metal detector, l’addetta vede qualcosa che non la convince. Dobbiamo aprire e svuotare tutto il bagaglio, per trovare l’oggetto sospetto: è nuovamente il famoso pezzo di minerale ferroso raccolto al Timna Park! Stavolta la poliziotta addetta al metal detector non si convince, gira e rigira il minerale senza capire cosa sia, mentre Enzo continua a ripeterle: “souvenir, souvenir…”. Alla fine la poliziotta si convince, e ci lasciano passare, dopo le solite 2/3 ore.

Rientrati in Israele, recuperiamo le moto; nella moderna Elat, ricordiamo con nostalgia i selvaggi panorami del Sinai.

Partiamo verso nuove mete, a nord. Incontriamo continuamente posti di blocco militari; ogni volta dobbiamo fermarci, mostrare i documenti, spiegare perché siamo lì, da dove veniamo, dove stiamo andando. Occorre essere dotati di una grande pazienza per visitare questo paese. La prossima tappa è il Mar Morto, dove siamo già stati visitando la Giordania. Dalla parte israeliana ci sono lussuosi e costosi  hotel, quindi noi optiamo per un tranquillo campeggio. Ci godiamo l’acqua densa di sale e caldissima in un bel bagno rilassante, poi mangiamo qualcosa al self service del campeggio. Qui incontriamo i motociclisti italiani che avevamo visto al Pireo, aspettando la nave, e ceniamo con loro.

Il mattino seguente siamo di nuovo in sella, prossima tappa Masada.

La rocca di Masada sorge maestosa ad un’altezza di 400 metri, ad oriente del deserto di Giuda, ai piedi della riva occidentale del Mar Morto. Il re Erode il Grande la scelse come rifugio dai numerosi nemici, e vi costruì fortificazioni e splendidi palazzi. Nel 66 d.c., all’inizio della grande rivolta contro i romani, un gruppo di zeloti comandati da Menachem Ben-Yair attaccò la fortezza e la strappò ai romani, che allora la presidiavano. Dopo la caduta di Gerusalemme ad opera di Tito, nel 70 d.c., vi si rifugiarono gli ultimi ribelli, capeggiati da Elazar Ben-Yair.

Vennero assediati alla fine del 72 d.c. dal console Flavio Silva, comandante della Decima Legio Fretensis. Erano circa 1.000, tra uomini, donne e bambini, e i romani circa 10.000. L’assedio si protrasse per mesi. I legionari riuscirono ad arrivare alle mura costruendo una rampa di terra e assi di legno; quando i difensori di Masada capirono che stavano per essere sopraffatti, scelsero di suicidarsi tutti.

C’è una teleferica che porta in cima o, a scelta, una scala ripidissima scavata nella roccia della montagna. Optiamo, poco sportivamente, per la teleferica, in quanto i chilometri percorsi in moto e l’ascesa al Sinai sono stati sufficienti a sfinirci, senza peggiorare la situazione con quest’ultima fatica.

La visita al sito è suggestiva, e ricorda i drammatici ultimi giorni dei difensori di Masada. Dall’alto delle mura, si gode una splendida vista sul Mar Morto, e dal lato opposto, si distinguono chiaramente le fondamenta delle mura di cinta dei campi delle legioni romane. C’è ancora la rampa con cui i romani diedero la scalata alle mura. Qualche anno or sono, gli archeologi hanno trovato in una grotta all’interno della rocca i resti degli ultimi difensori, con ancora i capelli,  i vestiti e, accanto, le armi usate per togliersi la vita.

Nuovamente in strada, costeggiamo tutto il Mar Morto. Vorremmo visitare Betlemme ed Hebron, ma ciò non è possibile in quanto la zona è chiusa a causa di disordini. Dirigiamo quindi direttamente su Gerusalemme. Venendo da Gerico, dove non osiamo fermarci a visitare gli scavi a causa del caldo soffocante, ci fermiamo a vedere il monastero greco-ortodosso di S. Giorgio, in una suggestiva posizione nascosta in una gola tra le montagne. Il percorso è come al solito faticoso, e per di più quando arriviamo troviamo il monastero chiuso. Anche qui ci sono soldati, che bivaccano all’ombra delle palme. Scattiamo qualche foto e ripartiamo.

Vediamo le indicazioni stradali per Gerusalemme; fa un certo effetto pensare di essere arrivati con la propria moto ed il solo aiuto delle carte stradali a questa città millenaria, dalla storia controversa ed affascinante.

Arrivati a Gerusalemme, troviamo un campeggio e ci fermiamo. La città si trova in una posizione collinare, per cui la temperatura è più fresca che nel resto del paese, anzi, la sera è meglio avere con sé una felpa.

Il giorno seguente, iniziamo la visita con il Monte degli Ulivi, dal quale si gode una splendida veduta della città e della valle del Cedron. Visitiamo la Chiesa del Pater Noster, costruita dall’imperatrice Elena, madre di Costantino, la Tomba della Vergine e l’Edicola dell’Ascensione, che conserverebbe l’impronta del piede sinistro di Cristo. Poi visitiamo la chiesa delle Nazioni, costruita nel XX secolo all’interno dell’orto del Getsemani. Troviamo purtroppo chiusa la bellissima chiesa di Maria Maddalena, di ispirazione russa, con le grandi cupole dorate, costruita dallo zar Alessandro III°.

In seguito ci avventuriamo all’interno delle mura. Parcheggiamo la moto alla Porta di Jaffa, e ci incamminiamo nel labirintico centro storico di Gerusalemme. Il primo che incontriamo è il quartiere ebraico.

Ci sono gruppi di militari, tra i quali anche molte donne, che pattugliano questa zona della città. Percorriamo la via Dolorosa, che ci lascia un po’ perplessi: noi immaginavamo una strada antica, carica di storia e di suggestione, mentre ci appare come una qualsiasi via di un souk arabo, piena di negozi di souvenir, molti dei quali di dubbio gusto. A malapena si distinguono sui muri le “stazioni” che ricordano le fermate di Cristo lungo la “via crucis” verso il Golgota. In effetti, il cuore di Gerusalemme, le strade che portano al Santo Sepolcro, la zona del muro del pianto e della vicina Cupola Della Roccia sono soffocate dai negozi di souvenir. Ci aspettavamo che in una zona così sacra, l’aspetto commerciale fosse tenuto un po’ più sotto controllo. Entriamo nella Chiesa del Santo Sepolcro. A partire dal 326 d.c., dopo il riconoscimento ufficiale della religione cristiana, l’imperatore Costantino fece erigere un vasto santuario che in un unico complesso architettonico riuniva i luoghi santi del Calvario, o Golgota, della sepoltura e della resurrezione di Gesù: il Santo Sepolcro. L’edificio fu più volte gravemente danneggiato, poi trasformato dai Persiani e infine ricostruito dai Crociati. È in effetti curioso da visitare, perché rende l’idea di tanti edifici assemblati, non di una costruzione unica. Inoltre, è diviso nelle zone: Copta, Armena, Abissina, Greca, Latina e Musulmana.

La visita è comunque molto suggestiva, questo luogo è veramente intriso di storia. La nostra prossima meta è la grande “spianata del tempio”, dove sorgeva il famoso Tempio di Salomone, distrutto la prima volta dai babilonesi di Nabucodonosor, in seguito ricostruito, poi nuovamente abbattuto dalle legioni romane di Tito, per piegare la fiera resistenza di questo popolo che proprio non voleva saperne dell’oppressione di Roma. Fu Tito ad iniziare quel processo di dispersione in tutto il mondo del popolo ebraico, conosciuto col nome di “diaspora”. Adesso qui sorgono due luoghi santi dell’Islam (ora siamo nel quartiere musulmano), la moschea El Aqsa e la splendida Cupola della Roccia, che contiene la roccia (da qui il nome) dove lo zoccolo del cavallo di Maometto lasciò la sua impronta spiccando il balzo che lo portò in cielo. Questa bellissima costruzione, gioiello emblematico di Israele, irradia su Gerusalemme lo scintillio della sua cupola dorata, ed è giustamente considerata il primo capolavoro architettonico dell’Islam.

Enzo si impunta a non voler entrare, perché non vuole abbandonare all’esterno le scarpe, come d’obbligo nei luoghi santi musulmani. Fantasiosamente teme che glie le possano rubare (!!!), e si perde così lo spettacolare interno di questa meraviglia, tutto in mosaici e stucchi dorati dalla lavorazione incredibilmente fine.

Visitiamo poi la moschea Al Aqsa, che si trova di fronte alla Cupola della Roccia. È la moschea più grande di Gerusalemme; più volte distrutta dai terremoti, conserva oggi ben poco della struttura originale di epoca omayyade. La maggior parte dell’edificio attuale è  opera del califfo fatimida az-Zahir. Anche i Crociati e successivamente gli Ayyubidi la rinnovarono e la abbellirono facendone una miscela di stili architettonici diversi molto rara nell’arte islamica. Accanto c’è un museo dove, tra i reperti antichi, sono conservate le drammatiche testimonianze dei tanti fatti di sangue avvenuti in questo luogo, nell’ambito della contesa tra israeliani e palestinesi. Nel pomeriggio passeggiamo per la Ben Yeuda Street, una delle strade più famose della Gerusalemme israeliana, dove si trovano eleganti negozi e locali alla moda. Proprio in questa strada, pochi giorni dopo la nostra partenza, terroristi palestinesi hanno fatto esplodere un ordigno,  causando parecchi morti e feriti.

Il giorno seguente torniamo nella città vecchia: nel quartiere ebraico, percorriamo il cosiddetto “Cardo”; si tratta di un pezzo del “cardo maximus”  costruito nel V secolo dai bizantini, che intrapresero il rinnovamento di tutta la città sul modello romano di “Aelia Capitolina”, come venne ribattezzata Gerusalemme dopo la distruzione e la successiva ricostruzione da parte dell’imperatore Adriano. Ora il cardo è un porticato trasformato in un mercato coperto.

Arriviamo al “ Muro Occidentale”, o “Muro del Pianto” (ribattezzato così dai cristiani nel medioevo perché qui gli ebrei piangevano la distruzione del Tempio); è il solo tratto superstite della sezione occidentale delle mura che circondavano l’unico luogo santo degli ebrei: il Tempio di Salomone. Si entra pochi alla volta, sotto stretta sorveglianza dei militari. La zona degli uomini e quella delle donne sono separate; inoltre, quella delle donne è più piccola. Chissà, forse le donne pregano meno degli uomini! Per entrare in questo luogo a tutti gli uomini danno un “kippà” (il piccolo copricapo tipo papalina che usano gli ebrei) in carta, per coprire la testa. Le fessure del muro sono piene di bigliettini. Sono le preghiere che gli ebrei scrivono su piccoli pezzi di carta. Molti di loro pregano, guardando verso il muro, con le spalle e il capo coperti dal “tallit”, il tipico scialle bianco con strisce azzurre, al quale è ispirata la bandiera dello stato di Israele.

La visita seguente è alla Porta di Damasco, la più bella e imponente delle otto porte di Gerusalemme (Porta di Erode, Porta di Damasco, Porta Nuova, Porta di Jaffa, Porta di Sion, Porta dei Maghrebini, Porta Aurea, Porta di S. Stefano). Questa zona è piena di negozietti arabi e bancarelle che vendono ogni genere di oggetti, dai casalinghi all’abbigliamento, dai souvenir agli alimentari, nello stile del più “verace” souk arabo. Ci mescoliamo alla popolazione locale e facciamo un po’ di shopping.

Dalla porta di Damasco saliamo ai camminamenti in cima alle mura, e ne facciamo il giro completo. Si può vedere tutta la città, da diverse angolazioni.

Dopo uno spuntino, visitiamo la cittadella di David, vicino alla Porta di Jaffa, fortezza che racchiude in sé le tracce di tutte le conquiste di cui Gerusalemme fu testimone. Dalla torre di David si ha una bella panoramica generale, soprattutto sulla spianata del Tempio e sulla cupola dorata della Roccia. All’interno, un bel museo illustra per mezzo di audiovisivi, plastici e carte la storia di Gerusalemme dall’antichità ai tempi odierni.

Rientriamo al campeggio. È sabato, lo “shabbat” degli ebrei. Qui di sabato nessuno lavora, nel senso più assoluto che si possa dare al termine. Se ne stanno tutti in casa, i locali sono chiusi, così pure i negozi, e trovare un ristorante aperto per cenare è veramente difficile. Alla fine ne troviamo uno; è una taverna simpatica, con arredamento rustico. Ci mangiamo zuppa di fave e pollo, e andiamo a dormire.

Il giorno seguente visitiamo Yad Vashem, il “Museo dell’Olocausto”. Come si può immaginare, la visita di questo luogo può lasciare sconvolti; bisogna essere preparati prima di entrarvi.

C’è un edificio dove sono esposte le fotografie, terribili, che testimoniano gli eventi a noi tutti noti, e in più oggetti dell’epoca: abiti, libri, valige, occhiali, alcune stelle di David di stoffa gialla, tutto ciò che è stato ritrovato  nei campi di concentramento.

Nello stesso stabile c’è un grandissimo archivio, che contiene i dati di tutte le persone scomparse durante le persecuzioni naziste. Chi ha perso qualcuno, può venire qui a cercarne le ultime tracce. È sconvolgente il numero dei volumi custoditi: sono migliaia.

C’è poi un altro edificio: il sacrario del bambini. L’interno è un labirinto oscuro di cristalli e specchi, il soffitto una miriade di lucine che ricordano un cielo stellato, un proiettore proietta le foto dei bambini scomparsi nei campi, ed una voce ne legge i nomi, all’infinito. In un altro stabile, dove si entra solo a capo coperto, c’è il “sacrario” per tutti i morti, con i nomi dei campi di concentramento scritti a lettere metalliche sul pavimento. Una fiaccola arde eternamente sopra di essi.

Intorno a Yad Vashem c’è un bel parco, dove è stato piantato un albero per ognuno dei “gentili” (coloro di religione non ebraica) che durante la persecuzione ha aiutato gli ebrei. Sotto ogni albero c’è una targa con il nome di quella persona, a eterno ricordo. C’è anche l’albero di Oscar Shindler, la cui storia è stata portata sugli schermi da Steven Spielberg in “Shindler’s List”. Shindler è sepolto qui a Gerusalemme.  Nel parco è stato portato uno dei vagoni ferroviari che servivano per trasportare gli ebrei ai campi.

La visita di Yad Vashem è un ricordo difficilmente cancellabile.

l giorno seguente facciamo i bagagli e salutiamo Gerusalemme; partiamo per il sito archeologico ellenistico di Bet She’an. Dedicata al dio greco Dioniso, la cui balia Nisa, secondo la leggenda, riposa su questa collina, è arricchita da un teatro di epoca romana, discretamente conservato. Degli 8.000 posti originali, resta solamente il livello inferiore. Ci sono anche interessanti vestigia di una basilica bizantina, della via colonnata, degli odeon di periodo romano e bizantino. Come sempre, arriviamo in orario perfetto per una visita archeologica, in agosto e in medio oriente: le 13,00. Il caldo è terribile, siamo sull’orlo del collasso. Fortunatamente c’è un bar che vende bibite fresche, di cui facciamo incetta, prima di ripartire alla volta della fortezza di Nimrod, sulle alture del Golan.

Ci sono parecchi posti di blocco dell’esercito israeliano e della polizia palestinese. I palestinesi sono molto gentili, ci fanno un po’ di domande generiche, e ci lasciano passare. Dalle alture del Golan si gode il panorama del Libano meridionale. Arriviamo nel tardo pomeriggio, il paese più vicino è Qiriat Shemona.

Troviamo un bel campeggio sulla riva di un fiume, molto verde e immerso nella natura. Ci accampiamo. Il luogo sarebbe idilliaco, se non si sentissero in lontananza dei rumori che ricordano inequivocabilmente il rombo dei cannoni. Pensando che si tratti di innocue esercitazioni militari, facciamo una passeggiata lungo il fiume. Molti dei campeggiatori fanno rafting sul fiume.

Per cena, ce ne andiamo in un ristorante annesso al campeggio, dove cucinano specialità libanesi. Il mattino seguente, ci prepariamo a partire per l’escursione al castello, che si trova su un monte confinante con il massiccio dell’Hermon. Questa fortezza, di epoca crociata, nell’antichità fu conquistata alternativamente da cristiani e musulmani, per rimanere poi infine nelle mani di questi ultimi. Improvvisamente, sentiamo vicinissimi i cannoneggiamenti della sera precedente; cominciamo a pensare che non si tratti di esercitazioni, vista la vicinanza con il Libano ed i pessimi rapporti tra i due stati. Ad un tratto ci volano sulla testa, provenienti dalle nostre spalle, alcuni missili, diretti contro il Golan, che abbiamo di fronte. Li vediamo cadere su una collina, alzando una nube di polvere. Sono gli Israeliani che rispondono ai missili lanciati dagli ezbollha libanesi. Vedersi passare dei missili sulla testa è un’esperienza che non si può raccontare spesso; producono un sibilo acuto, e lasciano una lunga scia di fumo dietro di sé. Siamo un po’ allarmati, anche se non sappiamo cosa fare. Scappare? E dove? Non sappiamo certo dove andranno a cadere questi mostri volanti. Guardiamo cosa fanno gli altri campeggiatori. Sono tutti col naso all’insù a guardare passare i missili, qualcuno, col capo e le spalle coperte dal tallit, si è messo a pregare (nel campeggio sono tutti israeliani, siamo noi gli unici stranieri); però nessuno fugge, quindi anche noi soprassediamo all’idea, e aspettiamo. Dopo pochi minuti tutto tace, per poi riprendere però più lontano. Saranno ancora missili, o artiglieria, non sappiamo. Ci guardiamo in faccia un po’ perplessi e decidiamo il da farsi; era in programma la visita al castello, ma questo si trova a nord, cioè proprio nella direzione dove cadevano i missili fino a pochi minuti fa. Seguendo chissà quale istinto illogico, montiamo intrepidi sulle moto e partiamo alla volta del castello. Le artiglierie tuonano molto lontane, adesso. Per strada incontriamo colonne di carri armati, e i campi intorno a noi sono tutti minati. Non si incontra anima viva.

Seguendo l’unica strada, arriviamo al castello. Comprensibilmente, siamo gli unici visitatori. Il cancello è chiuso, aspettiamo un po’. La vista da quassù è superba. Finalmente arriva il custode, su un trattore, con una pistola infilata nella cintura dei pantaloni (in Israele è normale vedere comuni cittadini portare armi); facciamo i biglietti ed entriamo per la visita, come se tutto fosse assolutamente normale. Come sottofondo, in lontananza, sempre il rombo dei cannoni. Ormai ci siamo abituati. Il castello è piuttosto diroccato, ed è abitato da centinaia di grossi roditori, simili ai castori, che pensiamo essere nutrie. Ce ne sono in gran quantità sdraiati a prendere il sole sui gradini del castello, e ci lasciano avvicinare senza fuggire. Ci aggiriamo tra i ruderi suggestivi; in effetti, il panorama è bellissimo, e sicuramente non è un luogo affollato: ci siamo noi tre e le nutrie.

Al ritorno al campeggio, smontiamo la tenda e ripartiamo verso sud, con prossima meta Cesarea. Vorremmo fare colazione al paese di Qiriat Shemona, ma tutti i negozi sono chiusi e non c’è nessuno in giro, anche se non è sabato. Troviamo solamente due vecchietti seduti sotto un portico a chiacchierare, e chiediamo dove trovare un bar aperto; ci fanno capire che sono caduti dei missili ed è tutto chiuso. Desistiamo dall’idea della colazione con bombardamento. Ci dirigiamo verso l’antica Cesarea, vicina al moderno paese di Zarqa, sul mar Mediterraneo. Arriviamo nel pomeriggio. Troviamo un bel campeggio sul mare, tranquillo, poco affollato, con grandi prati verdi alberati, una bella spiaggia e mare limpido. Ci sono un bar paninoteca sulla spiaggia, un ristorante, i bungalow, la piscina.

Il giorno dopo visitiamo il sito archeologico romano di Sebastiya, in territorio palestinese. Passiamo i tanti posti di blocco. Il sito non è molto grande ma è interessante. Rimangono vestigia di un teatro, piuttosto rovinato, di un portico colonnato, le fondamenta di alcuni templi. Ci fermiamo a bere una bibita in un piccolo e modesto locale appena fuori dal sito. I proprietari, una famiglia di arabi palestinesi, sono molto gentili e sono incuriositi da noi, turisti motociclisti. Insistono per offrirci il tè. In questo luogo, che si può considerare uno dei siti minori, vengono pochi turisti, e meno che meno in moto! Nei popoli di origine araba il senso dell’ospitalità verso lo straniero è molto accentuato: invece il popolo israeliano è descritto come piuttosto freddo e scontroso. A dispetto di queste voci, noi abbiamo trovato sempre tra gli israeliani persone estremamente gentili e disponibili.

Rientriamo al campeggio e ce ne andiamo in spiaggia.

Facciamo la conoscenza di una coppia di ragazzi di Milano che viaggiano in auto. Sono molto simpatici, e la sera allestiamo una specie di accampamento, con tanto di spaghettata e barbecue (viaggiando in auto è possibile portarsi appresso anche il necessario per cucinare, cosa che in moto è assai più difficile!!)

Il giorno seguente visitiamo Akko, città già nota in tempi biblici, che fu battezzata dai crociati Acri e fu la loro roccaforte per due secoli. Interessanti da visitare sono la Cittadella ottomana, la città sotterranea dei crociati (vestigia di una città un tempo popolata da circa 50.000 abitanti), il porto, creato dai persiani nel VI secolo a.c. Molto bello l’”hammam”, il bagno turco, ispirato alle antiche terme romane, che ospita l’Acre Municipal Museum, e infine la Moschea El-Jazzar, piccolo gioiello islamico circondato da arcate sorrette da colonne in granito e porfido, asportate dalle rovine di Cesarea e di Tiro. Ultima e immancabile, la visita al souk.

Il giorno successivo si visita Nazareth, che ospita oggi la più consistente comunità araba dello stato di Israele. Vorremmo visitare la Basilica dell’Annunciazione, che custodisce la grotta che secondo la tradizione fu la casa della Vergine. Purtroppo la troviamo chiusa, aprirà solo nel tardo pomeriggio. Delusi, ci inoltriamo nel souk e facciamo un po’ di shopping, quindi torniamo a Cesarea.

L’indomani è l’ultimo giorno in Israele; l’abbiamo riservato per la visita del sito archeologico dell’antica Cesarea, uno dei più importanti del paese. Antico porto fenicio, divenne greca, poi romana. Deve il suo nome a Cesare Ottaviano Augusto, che donò ad Erode il terreno sul quale venne edificata la città. Capitale della Giudea in epoca romana, centro intellettuale in epoca bizantina, conquistata dai crociati, ai quali la strappò Saladino, poi nuovamente conquistata dai crociati, infine divenne un villaggio di pescatori.  Dagli scavi archeologici sono emersi, proprio sulla spiaggia, un bel teatro in ottimo stato, il palazzo di Erode, l’ippodromo (ancora in via di scavo), statue e bassorilievi, e il grandioso acquedotto romano, che si snoda come un lungo serpente di pietra parallelo al mare. Molto bella la cittadella dei crociati, edificata sul basamento dell’antico tempio di Augusto.

Il mattino seguente si parte alla volta di Haifa, per l’imbarco.

In dogana, ad Haifa, ci trattengono per ore, sottoponendoci ad una specie di terzo grado. Vogliono sapere tutti i posti dove siamo stati, ci chiedono perché ci siamo stati, cosa abbiamo visto, cosa abbiamo comprato, chi abbiamo conosciuto, se abbiamo conservato gli scontrini dei negozi e le ricevute di alberghi e ristoranti (poi li controllano per vedere se corrispondono a verità) insomma, un vero interrogatorio. Ad altri motociclisti, giunti dopo di noi in dogana, che evidentemente avevano dato risposte non convincenti, sono state completamente smontate le moto.

Ci imbarchiamo. Il nostro ultimo ricordo di Israele è la torretta di un sommergibile militare, che si sta immergendo davanti al porto di Haifa.

Il viaggio di ritorno a casa sembra lunghissimo, anche se in realtà gli scali sono sempre gli stessi che abbiamo fatto all’andata: Cipro, Rodi, Creta. Scendiamo a cenare nei ristoranti locali; almeno non dobbiamo forzatamente usufruire del pessimo self service della nave.

Sbarchiamo al mattino molto presto al Pireo, partiamo immediatamente per Patrasso.

A Patrasso ci aspetta la bella nave della Superfast, e la fine della nostra avventura, anche per quest’anno!

 

 

Aspetti positivi del viaggio, secondo noi:

-                     i bellissimi panorami del deserto del Negev e del Sinai, vedere l’alba in cima al Gebel Musa, la splendida barriera corallina del Mar Rosso, il fascino suggestivo di Gerusalemme

-                     è interessante notare la differenza di comportamento tra Palestinesi ed Israeliani, i primi più aperti ed ospitali, i secondi più riservati ma comunque sempre disponibili

-                     è interessante anche notare la differenza che passa tra i territori palestinesi e quelli israeliani: nei primi si nota una estrema povertà, nei secondi invece un grande benessere

 

Aspetti negativi del viaggio, secondo noi:

-                     in luglio-agosto fa veramente molto caldo, arrivare a + 50 gradi è facile

-                     il passaggio delle frontiere in Israele è estenuante 

-                     viaggiando si incontrano frequentissimi posti di blocco, ogni volta bisogna mostrare i documenti e rispondere ad un sacco di domande; i militari comunque sono sempre molto gentili. Israele è una nazione in perenne stato di assedio

-                     il costo della vita in Israele è molto alto, per noi italiani risulta parecchio caro; molto più economica è la penisola egiziana del Sinai, se non si incappa in uno dei mega alberghi delle grandi catene straniere

Qualche prezzo:

-                     traghetto Superfast da Ancona a Patrasso: 183 € a persona, andata e ritorno, in cuccetta; 76 € per la moto, sempre andata e ritorno

-                     pranzo o cena in ristorante, da 20 a 60 € (ho fatto la conversione del prezzo negli odierni euro, quando siamo andati noi c’erano ancora le vecchie lire)

-                     pranzo o cena in una locanda da 10 a 20 €

-                     pernottamento in hotel 3 stelle, da 60 a 100 € per la camera doppia

Preparazione moto: Yamaha Tenerè XT600

-                     irrigidito e alzato la sospensione

-                     montato camere d’aria da fuoristrada

Ricambi portati: Yamaha Tenerè XT600

-                     candele

-                     camere d’aria

-                     filo frizione

-                     una bottiglietta d’olio

-                     kit antiforature (Touratech)

Inconvenienti occorsi:

-                     nessuno

Qualche informazione pratica:

-                     in Israele gli standard sono quelli europei distributori di benzina si trovano ovunque, mentre nel Sinai sono ovviamente più rari, trattandosi di una penisola desertica; comunque ogni 50 chilometri circa il rifornimento dovrebbe essere assicurato

-                     i cartelli di indicazione di strade e paesi sono frequenti e scritti anche in inglese. In ogni caso, se avevamo dubbi abbiamo sempre trovato persone gentilissime pronte a darci indicazioni o ad accompagnarci sui luoghi

-                     essendo Israele in paese piuttosto caro, come già detto più volte, abbiamo mangiato quasi sempre in luoghi tipo self service o in chioschi che vendevano i falafel lungo la strada

-                     conviene conservare scrupolosamente gli scontrini, le ricevute e le fatture di tutto ciò che viene acquistato e di alberghi e ristoranti di cui ci si è serviti, perché in frontiera, all’uscita da Israele, oltre alle migliaia di domande che vengono rivolte, viene anche chiesto di esibire gli scontrini e le ricevute che dimostrano la veridicità delle vostre affermazioni. Attenzione alle domande trabocchetto: a volte chiedono due volte la stessa cosa, a distanza di tempo, per vedere se la risposta è diversa. Preparatevi a perdere ore, e se non risultate abbastanza convincenti, anche a farvi smontare completamente il veicolo, qualunque sia; in frontiera ad Haifa ne abbiamo avuto la prova

-                     Guida utilizzata EDT - LONELY PLANET – ISRAELE

Chilometri totali percorsi: 3.500

Giorni impiegati 21