foto    Gates of Fire  road map     

Cosa significa questo titolo? “Gates of Fire” è il titolo di un bel romanzo che descrive la storica, famosissima battaglia delle Termopili (Termopili significa in greco “porte calde” a causa delle sorgenti termali che vi si trovano) dove trecento soldati spartani e il loro re Leonida si opposero eroicamente, fino alla morte, agli invasori persiani che minacciavano, conquistando la Grecia, di invadere l’Europa intera. Noi tutti, europei moderni, abbiamo un debito nei confronti degli antichi greci che col loro sacrificio scongiurarono questo rischio. Se non fossero riusciti, l’Europa che conosciamo oggi non esisterebbe. Il nostro breve viaggio ci ha portati anche a Sparta, per rendere onore ai soldati spartani e al loro re.

       GRECIA 2005       

Si torna in Grecia anche quest’anno; è vicina, è bella, è facile da raggiungere e da vivere.

Nel corso degli anni l’abbiamo girata veramente in lungo e in largo, e sono rimasti pochi i luoghi che non abbiamo visto. Quest’anno, per la solita settimana di ferie primaverile, gireremo un po’ il Peloponneso.

Il Peloponneso è quella grande isola fatta a forma di foglia di fico, che era anticamente attaccata alla terraferma e all’Attica tramite l’istmo di Corinto, ora tagliato dall’omonimo canale. Peloponneso significa “Isola di Pelope”; Pelope figlio di Tantalo, personaggio della mitologia greca, vinse con l’inganno una corsa di carri contro Enomao, re di Pisa nell'Elide (regione del Peloponneso), per conquistare la mano della figlia Ippodamia e con essa il regno. Dopo aver vinto la corsa con un inganno, corsa nella quale il re Enomao morì, gettò in mare Mirtilo, figlio del dio Ermes, che l’aveva aiutato nell’impresa. Sul punto di morire, Mirtilo maledisse Pelope, ed Ermes sentì le parole del proprio figlio morente. Pelope diventò re, ma i suoi discendenti, vittime della maledizione degli dei, erano destinati a non conoscere mai la pace, come in effetti  la storia greca ci insegnerà.

Imbarchiamo la nostra A.T. ad Ancona sulla Superfast XII, che parte ogni giorno alle 13.00 e alle 11.00 del giorno successivo ci scarica al porto di Patrasso. Usciti dalla città di Patrasso ci dirigiamo verso sud, salendo sulle montagne dell’Erimanthos. I paesaggi sono bellissimi, ma il cielo cupo non promette nulla di buono; infatti, dopo un po’, si scatena l’ira di Zeus. Tuoni e fulmini, e pioggia a catinelle. Noi proseguiamo stoici lungo le curve e i tornanti della montagna. Finalmente comincia a spiovere, e visto che si è fatta l’ora di pranzo ci fermiamo al paese di Levìdi, in una taverna tipica. Mangiamo molto bene: insalata greca, tzatziki, dolmadakia, agnello stufato. Le porzioni sono superabbondanti, la spesa totale 30 €. I prezzi in Grecia sono un po’ rincarati dopo l’entrata del paese nella Comunità Europea e l’adozione dell’euro; oramai sono vicini agli standard italiani.

Riprendiamo la strada dopo pranzo, col cielo sempre minaccioso, dirigendoci verso Trìpoli, e da lì prendiamo la direzione di Argo. Arrivati ad Argo proseguiamo per Naùplia, dove abbiamo deciso di fermarci per un giorno. Arriviamo a Naùplia a metà pomeriggio, col cielo finalmente limpido, e ci fermiamo in un hotel scelto a caso tra i tanti sulla strada. L’Hotel Elena è grazioso e pulito, e si trova su un viale alberato a pochi passi dalla piazza principale del paese e dal piccolo porto. Naùplia è famosa per la sua stupenda posizione sul Golfo Argolico, sotto la rocca di Acronaùplia che si protende nel mare, e il castello fortificato chiamato “Palamìdi”, alto 216 m. Questa posizione, i dintorni, importanti archeologicamente, e il gran numero di alberghi hanno fatto di questa città un’apprezzata località turistica. A Naùplia eravamo già stati ormai 10 anni fa, durante il nostro primo viaggio in Grecia. Dopo tanti anni non è cambiato nulla, per fortuna; c’è solamente, in più, un bellissimo camminamento pedonale a picco sul mare che gira tutto intorno alla rupe dell’Acronaùplia, partendo dal porto e finendo sotto alla rupe del Palamìdi. Lo percorriamo tutto a piedi, gustandoci l’aria pulita e il panorama stupendo sulla Golfo Argolico. Andiamo a cena in una taverna vicino alla piazza, dove c’è un bellissimo pappagallo cenerino che si diverte a penzolare a testa in giù nella sua gabbia, che si trova vicino al nostro tavolo. Si mangia molto bene, cucina tipica greca e vino retsìna. Dopo cena facciamo un’altra passeggiata la porto; in cielo ci sono alcuni nuvoloni scuri che passano davanti al sole, creando bellissimi effetti di luce con i raggi solari che filtrano in mezzo a loro e si riflettono sull’acqua. Al centro della baia, il bel castello veneziano sull’isoletta di Bùrtzi è diventato di un cupo colore violaceo.

Il giorno dopo, il mattino andiamo a cercare una spiaggia che ricordavamo trovarsi dietro alla rocca del Palamìdi. Infatti è proprio lì, e ci si arriva dalla strada che porta all’entrata posteriore del castello,  quella raggiungibile in auto e non tramite la faticosissima ascesa della famosa scalinata composta da 857 gradini. Dalla strada che esce dal paese di Naùplia non ci sono indicazioni né per il Palamìdi né per la spiaggia; sarà per questo motivo che questa bellissima spiaggia, situata in una piccola e deliziosa baia, con alle spalle un boschetto nel quale ci si può rifugiare all’ombra nelle ore più calde, è sempre semideserta. Anche oggi, infatti, ci sono pochissime persone, nonostante la giornata sia calda e soleggiata; parcheggiamo l’A.T., poi passeggiamo un po’ lungo la spiaggia e lungo il sentiero che la divide dal boschetto. Più tardi facciamo il bagno nell’acqua limpidissima ma un po’ fredda, a dire il vero, poi, all’ora di pranzo, mangiamo souvlaki e tzaziki un una taverna che si trova nel boschetto alle spalle della spiaggia. Ogni tanto qualche nuvola oscura il sole, ma se ne va rapidamente così come è arrivata.

Più tardi, nel pomeriggio, andiamo a visitare il Palamìdi, che deve il suo nome all’eroe omerico Palamède. Scattiamo parecchie foto, alla struttura possente del castello e al bellissimo panorama sottostante. La fortezza, costruita dai veneziani, era collegata all’Acronaùplia da una scalinata e da un passaggio coperto, ed è strutturata in diversi forti collegati tra loro da un possente muro di cinta. I forti portano i nomi di eroi dell’antichità: a est la fortezza Leonida, a sud il forte Milziade, a ovest i forti Temistocle e Achille, e a sud il forte Focione, costruito dai Turchi. Finita la visita alla fortezza, col sole ormai al tramonto prendiamo una barchetta e andiamo a visitare l’isolotto di Bùrtzi e il piccolo castello veneziano perfettamente conservato, circondato da bellissime bouganville in fiore. Naùplia era conosciuta anche con la denominazione di Porto Catena, derivata dall’uso veneziano di tendere di notte a pelo d’acqua una catena tra Bùrtzi e la città stessa a protezione del porto. Dall’alto della torre del castello la veduta su Naùplia, il Palamìdi e il Golfo Argolico è spettacolare, soprattutto con la luce surreale del sole filtrata da alcune nuvole viola e cremisi che si sono nel frattempo accumulate all’orizzonte. Mentre la piccola barca ci riaccompagna sulla terraferma, possiamo anche fotografare un grande arcobaleno teso nel cielo in direzione est.

La sera si cena in un’altra delle tante taverne, e il mattino seguente si caricano le valige sull’A.T. e si riparte. La direzione è ancora sud, costeggiando il mare, il Golfo Argolico poi ancora giù, fino in fondo al terzo dito del Peloponneso. La nostra meta è l’isoletta di Elafònissos, che si trova di fronte alla cittadina di Neàpolis. Per arrivare a Neàpolis, la strada dalla costa devia verso l’interno attraversando il Monte Pàrnon; è stretta, tutta curve e tornanti, ma i panorami sono superbi; i monti sono ricoperti di abeti e pini, ai lati della strada ci sono enormi cespugli di bouganville viola, rosa e fuxia. Incontriamo anche qualche motociclista, che arriva in direzione opposta, e con essi scambiamo il tradizionale saluto. In cima alla montagna ci sono alcuni pittoreschi paesini, e in uno di essi ci fermiamo a bere un “frappè” (ottimo caffè shakerato che i greci devono in grandi quantità) per poi ripartire verso Neàpolis. La strada inizia a scendere dalla montagna, e a un tratto vediamo un cartello, circa 15 km prima di Neàpolis, che indica l’approdo dei traghetti di Elafònissos; ci dirigiamo là, e arriviamo ad un molo sperduto in mezzo al nulla, vicino a una bellissima spiaggia completamente deserta, giusto in tempo per vedere il traghettino che ritira il ponte e stacca gli ormeggi dalla banchina. C’è uno sbiadito cartello in fondo al molo, con gli orari di partenza e arrivo dei traghetti: il prossimo, aimè, è tra 2 ore, e con pazienza ci predisponiamo ad aspettarlo. Dopo pochi minuti arriva una coppia di italiani su un Transalp, anch’essa diretta ad Elafònissos;  scambiamo quattro chiacchiere per ingannare l’attesa, e finalmente arriva il traghettino, che per la modica cifra di 4 euro porta noi due e la nostra A.T. sull’isoletta, che si trova solamente a 15 minuti di navigazione dalla terraferma. L’acqua del mare, limpida, lascia vedere perfettamente il fondale marino poco profondo; è molto probabile che in tempi antichi l’isoletta di Elafònissos fosse tutt’uno con la terraferma.

Sbarchiamo dopo la brevissima traversata: l’unico paese esistente sull’isola è piccolissimo, ci sono solo due alberghetti, qualche camera in affitto e alcune taverne sul piccolo porto; non ci sono né ospedale, né farmacia, né banca, né ufficio postale, vediamo solo un asilo e un paio di negozietti di generi alimentari. La stagione turistica non è ancora iniziata, e immaginiamo che comunque l’afflusso dei turisti qui sia molto limitato, data l’esiguità di alloggi e di locali pubblici, anche se, come scopriremo il giorno seguente, in questa piccola isola ci siano forse le spiagge più belle di tutta la Grecia (e sicuramente anche le meno affollate).

Ci guardiamo intorno in cerca di una camera da affittare, ma ci sembra tutto chiuso, c’è solo qualcuno che sta sistemando le taverne sul porto per l’imminente apertura. Pian piano proseguiamo sul lungomare, passando davanti alla chiesetta di Spyrìdon che si trova su uno spuntone roccioso in mezzo al mare ed è collegata al porto da un ponte. La strada gira a sinistra e diventa sterrata, e un po’ più avanti, una signora ci viene incontro e ci chiede, in inglese, se vogliamo una camera. Ci fermiamo e vediamo la camera che ci propone: è al piano superiore di una villetta tutta bianca con infissi blu, nello stile tipico delle isole greche, è spaziosa ed ha un grande terrazzo sul mare, con un fantastico panorama. Ne siamo entusiasti e la prendiamo.

La nostra idea era di rimanere un giorno intero ad Elafònissos, per poi proseguire il giro del Peloponneso, ma la sistemazione che abbiamo trovato, la pace e la tranquillità assoluti che scopriremo su questa isola semisconosciuta, unite alle spiagge fantastiche e semideserte, ci convincono subito a rimanere un altro giorno.

Dopo la sistemazione dell’A.T., delle valige e la doverosa doccia, andiamo a passeggiare per il minuscolo paesino, e fatta venire l’ora di cena, troviamo una piccola taverna che cucina pesce seminascosta tra le strette viuzze. Ci ispira, e ci sediamo. Sarà una buona scelta, perché gusteremo un ottimo polipo alla griglia e la specialità della casa, il calamaro farcito; ci portano un calamaro lungo circa 30 cm, ripieno di formaggio, peperoni e pomodori, ed è una vera delizia per il palato.

Si va a dormire, e il giorno dopo partiamo per l’esplorazione delle spiagge. Il viaggio è molto breve, infatti l’unica strada dell’isola termina a 4 km dal paese, alla spiaggia di Sìmi, che non ha nulla da invidiare a una spiaggia dei Caraibi: è formata da due insenature al centro delle quali c’è un istmo che termina in una collina rocciosa a picco su un mare di trasparenza cristallina, con tutte le sfumature del blu e del turchese. Le spiagge sono semideserte, solo qualche sparuto turista greco e qualche italiano, qualcuno in moto, qualcuno in camper. Dietro la spiaggia inizia subito la macchia mediterranea fitta di arbusti sempreverdi di ogni genere, popolata anche da serpenti che dormicchiano all’ombra indisturbati, grazie alla scarsa presenza di esseri umani in queste zone. Dopo esserci goduti il mattino in questo paradiso terrestre torniamo alla nostra camera; prima ci fermiamo in uno dei negozietti a fare la spesa, e con qualche scatoletta di dolmadàkia, polpettine al pomodoro, tonno e fagioli organizziamo un pranzetto sul nostro terrazzo con vista mare, nel più assoluto silenzio. Nel pomeriggio, dopo un po’ di lettura nella frescura della camera, torniamo alla bellissima spiaggia. L’acqua è piuttosto fredda, ma è talmente trasparente che non riusciamo a resistere alla tentazione di fare il bagno. Verso sera, con l’A.T. decidiamo di fare “tutto” il giro dell’isola, cioè altri 4 km nella direzione opposta a quella della spiaggia di Sìmi, per complessivi 8 km di strada in tutta l’isola.

Partendo da Sìmi torniamo al paese e proseguiamo lungo la strada che porta all’altra estremità; ci fermiamo a fotografare il panorama di una aspra scogliera, una chiesetta con campanile e una bellissima spiaggia, anch’essa deserta. Fa già buio quando torniamo alla nostra camera: prima di salire, scopriamo che proprio dietro la nostra casa c’è un negozietto di macelleria, che la sera cuoce spiedini di souvlaki e bifteki per i passanti. Compriamo un po’ degli uni e un po’ degli altri, e ci prepariamo una gustosa cenetta in terrazza con essi e con le scatolette avanzate dal pranzo.

Dopo cena, passeggiata al porto e alla chiesetta di Spyrìdon. Nell’acqua bassa tra il porto e la chiesetta sguazzano anitre e oche, abituate alle offerte di cibo dei passanti; infatti i pennuti ci seguono nuotando velocemente mentre noi camminiamo lungo il pontile, sperando in qualche bocconcino. Torniamo in camera a prendere il pane rimasto dal pranzo e dalla cena, e glie lo portiamo; loro vengono a mangiare tranquillamente dalle nostre mani. Dopo la visita alle anatre e alla chiesetta, andiamo a bere un “frappè” in uno dei localini sul porto.

Il giorno dopo ancora spiaggia, a Sìmi. Nel pomeriggio, costeggiando a piedi l'istmo sabbioso che divide le due spiagge, saliamo al promontorio roccioso che sta nel mezzo, in fondo all'istmo. Dall’alto la veduta è splendida, il mare sembra di cristallo e le due spiagge, con la vegetazione retrostante, si perdono a vista d’occhio sotto di noi.

La sera si replica la cenetta a base di spiedini, e il mattino dopo, molto a malincuore, si torna sulla terraferma.

Il cielo è ritornato nuvoloso, e sperando di non prendere un altro temporale partiamo alla volta di Ghìtion, l’antico porto di Sparta. A Ghìtion siamo solo di passaggio, nonostante ci sia una bellissima spiaggia semiselvaggia, con un sinistro e rugginoso relitto di nave mercantile arenato su di essa. Proseguiamo per Sparta, dove arriviamo in tarda mattinata.

Il passato glorioso di questa città è universalmente noto: abitata da popolazioni bellicose provenienti dal nord, i Dori, che avevano conquistato quella parte del Peloponneso chiamata Laconia, riducendone gli abitanti ad una condizione servile, era famosa per l’invincibilità dei suoi eserciti, dovuta alla ferrea disciplina dei suoi soldati, a cui era impartita fin da bambini una educazione severissima. Ancora oggi il termine “spartano” indica rifiuto della comodità e frugalità portati all’eccesso, così come il termine “laconico” indica esprimere un concetto usando il minor numero di parole possibile; anche questo faceva parte dell’educazione degli spartani, oltre al culto della forza fisica e del combattimento. Ci fermiamo a vedere la statua bronzea, moderna, eretta a ricordo di Leonida, che era un dei due re di Sparta quando i Persiani, guidati dal loro re Serse, tentarono per la seconda volta di invadere la Grecia per poi proseguire nella conquista dell’attuale Europa. Egli morì eroicamente al passo delle Termopili, in Tessaglia (nord della Grecia) alla testa dei 300 spartani che costituivano il battaglione migliore dell’esercito, combattendo contro un numero di persiani spropositatamente superiore. I persiani subirono perdite enormi prima di avere la meglio su di loro, e dovettero impegnare addirittura la guardia del corpo del re, il famoso battaglione dei 10.000 “immortali”, che grazie ad un traditore che indicò loro un sentiero segreto riuscirono ad aggirare la posizione degli spartani. Peccato che di questo tipo d’uomini si sia perso lo stampo. Rendiamo il dovuto omaggio a questo eroe dalla memoria imperitura fotografando noi e la nostra A.T. accanto a lui, poi ripartiamo per attraversare il Monte Taigeto. Su questo monte, nei boschi, venivano abbandonati i bambini spartani che presentavano imperfezioni fisiche. Non venivano, come si crede, gettati da una rupe, ma abbandonati in questi boschi; i pochi fortunati venivano salvati e adottati dai contadini e pastori della zona, gli altri finivano in pasto ai lupi. Questa era la dura legge di Sparta, tesa a selezionare una razza di guerrieri perfetti.

Il passaggio del Taigeto è suggestivo, il monte è ricoperto di pinete e i paesaggi, col cielo grigio e nuvoloso, ricordano più quelli dei paesi centroeuropei che non quelli della assolata Grecia. Ci fermiamo ad una bancarella sulla strada, dove un arzillo vecchietto, che cammina curvo aiutandosi con un bastone, vende i prodotti della montagna: miele, sacchetti di piante aromatiche e oggetti ricavati assemblando le pigne che cadono dagli alberi. Compriamo un originale cesto rotondo fatto tutto di pigne e fornito di corda, da appendere al muro o al soffitto di casa, due vasi di miele e alcuni sacchetti di erbe aromatiche; il vecchietto si avvicina alla nostra A.T., la rimira per benino poi si china faticosamente a guardare il motore da vicino e ci chiede, a gesti, se la moto ha due cilindri. Ci fa capire che gli piace, che è una bella moto, e ci dice che da giovane aveva una Harley. Lo salutiamo e ripartiamo verso ovest, scendendo dalla montagna. Arriviamo ad ora di pranzo a Kiparissìa, pittoresca cittadina sulla costa ovest del Peloponneso che possiede un castello medievale in cima ad un aspro picco roccioso. Troviamo posto in uno dei due alberghi del paese, e dopo esserci cambiati gli abiti da moto cerchiamo una taverna per pranzare. Ne troviamo una nella piazzetta principale del paese, dove mangiamo benissimo e molto abbondantemente con una spesa veramente modica; questo paese, nonostante vanti spiagge bellissime e selvagge, è frequentato solo da turismo locale e si riesce ancora a dormire e mangiare con cifre ragionevoli.

Dopo il lauto pranzo andiamo a passeggiare in spiaggia, sulla quale si affacciano un camping e un gruppo di bungalows nuovissimi e molto belli. La lunga spiaggia è interrotta ogni tanto da ammassi rocciosi, che partendo dalla macchia mediterranea retrostante prorompono verso il mare e danno al panorama un aspetto selvaggio, costringendoci ad arrampicarci su di essi per raggiungere la spiaggia successiva. Anche qui il mare è estremamente pulito e la spiaggia deserta.

Arriva l'ora di cena, mangiamo qualcosa di leggero dopo l'abbuffata del pranzo, facciamo ancora due passi sul porticciolo, che è in costruzione, poi andiamo a dormire.

La mattina seguente facciamo “armi e bagagli" e partiamo in direzione di Patrasso: è l'ultimo giorno di ferie purtroppo, oggi pomeriggio alle 14.30 parte la nave che ci riporterà in Italia.

La nostra A.T., che non si è sforzata più di tanto a dire il vero durante questa breve vacanza (abbiamo percorso 1.500 km in tutto) ci porta velocemente verso il nord del Peloponneso; sulla strada incontriamo qualche motociclista, alcuni italiani, alcuni tedeschi. Dopo gli ultimi acquisti al porto di Patrasso (scatolette di dolmadakia, bottiglie di ouzo) ci imbarchiamo; è stata una vacanza di tutto relax, e il tempo, anche se inizialmente inclemente, in realtà ci ha concesso di goderci il sole, le montagne e il mare della Grecia meno turistica per tutta la settimana.

Un arrivederci al prossimo viaggio!!