egitto 2006   

 

Un viaggio in Egitto è, più di ogni altro, un viaggio a ritroso in uno splendido passato. Le vestigia archeologiche in questo paese sono talmente numerose, e talmente grandiose, da poter senza ombra di dubbio indicare l’Egitto come il paese più ricco di antichità al mondo. L’Egitto ha tutto ciò che serve per far innamorare il visitatore: oltre al già menzionato incommensurabile patrimonio archeologico, gode di un ottimo clima tutto l’anno, può vantare un mare come pochi altri al mondo, il Mar Rosso, offre inimitabili panorami tra le dune dei deserti e lungo il corso del Nilo, e il suo popolo è ospitale e gentile.
Il mito della civiltà egiziana, uno dei più consolidati e diffusi nella cultura contemporanea, è meno recente di quanto si pensi. Prende consistenza nel corso dell’Ottocento e continua poi a crescere fino ad assumere le attuali connotazioni. Ha ascendenze molto lontane, se è vero che il fascino del misterioso Egitto, la “madre del mondo”, già esercitava una forte presa sugli strati più colti della società nell’antica Grecia e nella Roma imperiale. Nucleo generatore di quella civiltà mediterranea alla quale risale gran parte del nostro sapere, l’Egitto è tuttora ai primissimi posti tra i paesi nei quali tutti vorrebbero andare o tornare.

Il Racconto .....

Quello che sto per raccontare è il viaggio che più di ogni altro abbiamo sperato di riuscire a realizzare, e che più di ogni altro ci sembrava difficoltoso. L’Egitto, per le bellezze archeologiche e naturali, vale sicuramente la pena di essere visitato almeno una volta; arrivarci e viverlo in moto, con la propria moto, è un sogno splendido, che in fin dei conti non è poi così difficile da realizzare, anche se occorre superare qualche difficoltà. Per difficoltà intendo, ad esempio, il semplice fatto di raggiungerlo col proprio mezzo; infatti non ci sono più, da diversi anni, traghetti diretti in Egitto che carichino veicoli e passeggeri, né dai porti italiani, né da quelli europei. Bisogna quindi scegliere se percorrere la via di terra, come abbiamo fatto noi, attraversando Grecia, Turchia, Siria e Giordania, oppure se spedire il veicolo in nave o in aereo, con relativo appesantimento del budget necessario al viaggio ed incertezze su tempi e costi doganali. Poi ci sono alcuni “step” burocratici da superare, come ad esempio l’obbligo di avere con sé il “carnet de passage”, la patente di guida internazionale e il libretto internazionale, che si ottengono in Italia, all’ACI, però con spese non da poco (circa 500 € tra fideiussione bancaria, carnet, patente e libretto internazionali). Occorre poi adeguarsi alle regole che vigono in Egitto sulla circolazione dei veicoli che trasportano stranieri, a causa degli attentati terroristici avvenuti sia in passato che recentemente. Ad esempio, prima di partire dal Cairo per Luxor è obbligatorio avvisare la polizia del proprio spostamento (i grandi alberghi hanno tutti un posto di polizia turistica, la segnalazione si può fare a loro); lungo la strada (699 km) ci sono frequenti posti di blocco, che controllano che il tuo transito sia stato segnalato, controllano i passaporti e via radio avvertono il posto seguente del tuo arrivo, o in certi tratti ti accompagnano con una camionetta: la prassi diventa un po’ noiosa, perché posti di blocco ce ne sono veramente molti, ma fortunatamente i poliziotti sono simpatici e gentilissimi. Sulle strade Luxor-Assuan (220 km), Luxor-Abydos-Dendera (160 km), Assuan-Abu Simbel (260 km) e Luxor-Hurgada (300 km) occorre aggregarsi ai “convogli”, ovvero gruppi di veicoli scortati da camionette militari; ne partono 2 al giorno, mattino e pomeriggio, comunque sono puntuali e veloci. Invece, sulle strade del deserto est, deserto ovest e penisola del Sinai la circolazione è libera, tranne i soliti posti di blocco con rapido controllo dei passaporti. Altra difficoltà, soprattutto per chi non è dotato di particolare pazienza, è il passaggio della frontiera; in verità, rispetto alle informazioni raccolte da alcuni motociclisti che negli anni passati hanno viaggiato in Egitto e che descrivevano attese di 10 – 12 ore, la cosa non ci è parsa più difficoltosa della frontiera giordana o di quella siriana; inoltre, alle frontiere egiziane ci sono in servizio agenti della Polizia Turistica, messi lì appositamente per aiutare gli stranieri a districarsi tra le centinaia di uffici (con cartelli scritti solo in arabo) e tra le contorte pratiche burocratiche per l’importazione del veicolo (il visto per la persona si ottiene direttamente alla frontiera in pochi minuti, per i cittadini italiani, mentre l’importazione temporanea della moto richiede un iter veramente snervante). Alla fine, con una piccola mancia al poliziotto, abbiamo superato la famigerata frontiera in un’ora e mezzo, nello standard di tutte le frontiere mediorientali. Comunque, posso assicurare che sono tutti piccoli problemi, facilmente affrontabili; saranno ampiamente ripagati dalla bellezza dei luoghi e dalla magia dell’atmosfera che regna lungo il corso del Nilo.

Partenza

Si parte da casa alle 9:00 di sabato 22 luglio; da mesi ci stiamo preparando a questo viaggio, sicuramente impegnativo ma tanto sognato, e finalmente è giunta l’ora. Come tutto le cose molto desiderate, quando arriva il momento di toccarle con mano ci si sente storditi e inadeguati; io non riesco a realizzare appieno che il sogno sta diventando realtà, e non ci riuscirò fino a quando, alle ore 21:00 del 28 luglio, ovvero 7 giorni dopo, imboccheremo la circonvallazione del Cairo, lunga 70 chilometri, e in lontananza, nel buio, vedremo apparire la sagoma inconfondibile e suggestiva delle Piramidi, illuminate dai riflettori nell’oscurità della sera.
Arriviamo al porto di Ancona e ci imbarchiamo: la Superfast V parte puntuale alle 13:30, e dopo un pranzo gustoso al self service, aspettiamo l’arrivo della sera .La nave è gremita di emigranti turchi che tornano a casa per le vacanze; bivaccano un po’ dovunque, sui divani, sui ponti, nei corridoi della grande nave greca.
La squadra quest’anno è composta da me e Enzo (SuperQuark), che siamo di Bologna, e Gianni (cugino di SuperQuark, col quale abbiamo viaggiato in Iran nel 2004 e in Libano, Siria e Giordania nel 2005) con Veronica, che arrivano da Ragusa: loro si imbarcano a Bari, e ci incontriamo al porto di Igoumenitza, in Grecia, il mattino seguente. Entrambe le nostre navi arrivano alle 5:30 del mattino, e dopo i saluti e le foto di rito partiamo in direzione della Turchia. I primi giorni di viaggio cercheremo di percorrere il maggior numero di chilometri possibile, per avvicinarci alla nostra meta rapidamente ed avere tempo a disposizione per visitarla; attraverseremo la Grecia del nord, parte della Turchia, tutta la Siria e tutta la Giordania ma senza fermarci a vedere nulla, sia per il motivo già citato sia per il fatto che per noi si tratta della quarta volta che mettiamo piede (e ruote) in questi splendidi paesi.
Partiamo da Igoumenitza alle 06:30 di mattina, e ci fermiamo solo per i rifornimenti e il pranzo. Alla frontiera turca perdiamo quasi 2 ore, a causa dei molti emigranti che rientrano, come abbiamo visto sulla nave, e a causa del grande traffico di camion. La sera del primo giorno di viaggio ci fermiamo a dormire a Tekirgdag, un centinaio di chilometri prima di Istanbul, dopo aver percorso 940 chilometri. Ceniamo al self service posto al pianterreno dell’albergo, dove propongono tipici piatti turchi: fagioli in umido, carne di pecora arrostita, vari tipi di verdure fresche e cotte, dolci a base di riso e latte.
Il giorno seguente, alle 07:00 del mattino riprendiamo la strada; oltrepassiamo Istanbul, passando dall’Europa all’Asia passando sul ponte sospeso “Atatürk”, che collega i due continenti separati dal Bosforo. Nel pomeriggio ci fermiamo a fare qualche foto al suggestivo lago salato, che i turchi chiamano Tuz Gölü, per poi ripartire. Oltrepassiamo il bivio che conduce ad Aksaray e alla Cappadocia e proseguiamo, e a sera ci fermiamo a dormire al minuscolo paese di Ulukisla, nell’unico albergo, il modesto hotel Ömrane. Nonostante sia tardi, preparano solo per noi la cena, consumata nella sala ristorante che questa sera è stata trasformata in una specie di “night club” molto alla buona, con tanto di cantante dal vivo. Le luci sono talmente basse che non distinguiamo nemmeno ciò che stiamo mangiando, e il volume della musica così alto che ci impedisce di conversare. Appena finito di mangiare andiamo a dormire; il gestore dell’hotel si stupisce del fatto che non ci fermiamo a fare baldoria al “night”…peccato solo per i 960 chilometri che abbiamo percorso oggi, altrimenti si poteva anche farci un pensierino!
Il giorno dopo, sempre di buon ora, ripartiamo. Poiché è molto presto, in hotel non possono prepararci la colazione, però ci offrono il caffé. Nel forno a fianco compriamo ottime focacce, e risolviamo così il problema, poi ci mettiamo in cammino. Da Ulukisla mancano circa 300 chilometri al confine siriano: questa strada è molto bella dal punto di vista panoramico, perché attraversa le gole montuose, verdeggianti e piene di corsi d’acqua, della catena del Tauro. Arriviamo alla frontiera siriana in mattinata: incontriamo il simpatico ometto che, in cambio di una piccola mancia, aiuta gli stranieri nel disbrigo delle complesse formalità doganali. Ci riconosce e ci saluta con calore, perché è ormai la quarta volta che attraversiamo questo confine. In poco più di un’ora col suo aiuto riusciamo a cavarcela, e proseguiamo. La temperatura, da quando abbiamo lasciato i monti del Tauro, si è ben presto innalzata. Ci fermiamo a pranzo al ristorante “Torre Eiffel”, dove si può scegliere tra vari “mezzè” (antipasti) tipici della cucina mediorientale, vari tipi di carne alla brace o in umido, verdure fresche e cotte, ottimo yogurt e pane arabo. Proseguiamo poi la nostra corsa attraverso la Siria; nel confinante e vicinissimo Libano sta infuriando il conflitto tra Israele ed Hezbollah, ma qui non c’è sentore di guerra, tutto è apparentemente tranquillo, a parte le bandiere gialle e verdi di Hezbollah esposte in parecchi luoghi. Usciamo dalla Siria (un’ora circa in frontiera) ed entriamo in territorio giordano (un’ora e mezza circa in frontiera). Sono ormai le 21:00; vogliamo riuscire ad arrivare a pernottare sul Mar Morto, che dista dalla frontiera circa 150 chilometri, quindi facciamo un frugale spuntino in un piccolo bar all’interno dell’area di confine, e con un ultimo sforzo partiamo verso Amman. Arriviamo alla capitale giordana, che nelle mille luci della notte sembra più bella di quanto non sia in realtà; qui siamo stati diverse volte, ma questa sera, forse a causa del buio, non troviamo i cartelli che indicano la direzione “Dead Sea” e ci perdiamo per la città. Giriamo avanti e indietro per non meno di un’ora, chiediamo molte volte indicazioni, ma ugualmente non riusciamo a trovare la strada, nonostante ad un certo punto ci facciamo anche guidare da un taxi. I tassisti da queste parti raramente parlano inglese, “Dead Sea” non sanno cosa sia, l’unico modo per farsi capire è chiedere “airport” perché ricordiamo che la strada è la stessa dell’aeroporto, però arrivati all’aeroporto le indicazioni per il Mar Morto non vogliono proprio saltar fuori. C’è un negozietto di alimentari ancora aperto, ci fermiamo a chiedere: finalmente l’indicazione è giusta, come per magia il sospirato cartello appare; svoltiamo a destra, e la strada ben presto inizia a scendere verso la depressione che arriva, nel punto più basso, a 300 metri sotto il livello del mare. È un peccato che con il buio non possiamo godere del bellissimo panorama sulle montagne desertiche qui intorno; dobbiamo accontentarci delle lucine che provengono dai paesini sparsi sui fianchi delle montagne stesse, che li fanno somigliare a un presepe.
Alle 02:00 di mercoledì 26 luglio arriviamo all’hotel Mövenpick, bellissima struttura che si ispira alle case tradizionali in mattoni crudi, costruita affacciata sul Mar Morto; dalle finestre della nostra camera, oltre allo specchio immobile del mare, si scorgono brillare le luci di Gerico e Gerusalemme.
Abbiamo percorso 1040 chilometri oggi, passato 4 frontiere, e siamo piuttosto stanchi: fortunatamente i letti sono comodissimi, e il mattino seguente non manchiamo di fare il bagno nel Mar Morto e nella splendida piscina dell’hotel. A mezzogiorno lasciamo la camera, costeggiamo tutto il Mar Morto tra splendidi panorami, arriviamo a Kerak, dove ci fermiamo a pranzare in un ristorante di nostra conoscenza, poi ripartiamo verso sud. Dopo aver percorso 350 chilometri, la maggior parte dei quali immersi nelle fiabesche vedute del deserto roccioso giordano, arriviamo ad Aqaba. Vi si giunge da una strada posta in alto rispetto alla città, per cui possiamo ammirare un bellissimo panorama del golfo di Aqaba nei colori cobalto e indaco della sera, costellato dalle luci della stessa Aqaba, dell’israeliana Elat, che dista da qui 3 o 4 chilometri, e dell’egiziana Taba, altrettanto vicina. Anche il confine saudita è vicinissimo, non più di una decina di chilometri a sud di Aqaba. Avvicinandoci al mare incontriamo parecchi alberghi. Ci fermiamo in uno scelto a caso, l’Acquamarina II, e chiediamo una camera: le nostre moto da queste parti attirano parecchia curiosità, e come sempre si radunano capannelli di persone: guardano le nostre targhe, con la lettera I (che sta per Italia) e ci chiedono se siamo israeliani. Dal momento che Israele è vicinissimo, mentre l’Italia piuttosto lontana, non sembra possibile ai giordani che questi quattro avventurieri arrivino da una località tanto remota; naturalmente neghiamo con calore ogni parentela con i confinanti della stella di David, ma il poliziotto di guardia fuori dall’hotel per sicurezza ci fa aprire tutti i bagagli, per controllare l’eventuale presenza di ordigni. Dopo aver preso possesso delle camere, rigorosamente con vista sul golfo, esserci lavati e cambiati, ceniamo in hotel e dopo andiamo a passeggiare per la cittadina. Il golfo di Aqaba, noto anche come golfo di Eilat, si apre sul Mar Rosso, è situato tra la penisola del Sinai e la penisola Arabica. È uno dei due golfi creati dalla biforcazione nel nord del mar Rosso che forma la penisola del Sinai: esso si trova ad est della penisola, il golfo di Suez ad ovest. Il golfo di Aqaba misura 24 km nel punto di massima larghezza e si estende per 160 km, dagli stretti di Tiran fino al limite settentrionale dove gli stati di Israele, Egitto e Giordania si dividono la territorialità della costa. Il golfo, come tutte le acque costiere del mar Rosso, è uno dei siti più importanti al mondo per osservazioni e immersioni marine. L'area è particolarmente ricca di coralli e presenta un'ampia bio-diversità, i fondali contengono numerosi relitti; alcuni sono affondati a causa di incidenti, altri sono stati deliberatamente fatti affondare per fornire un habitat alle forme di vita marine, aiutando in questo modo il turismo subacqueo della zona. Vi si trova anche il relitto di una nave da guerra egiziana, affondata dagli israeliani durante la “guerra dei sei giorni”.
Il mattino seguente andiamo agli uffici della Arab Bridge Marittime Company, che gestisce i collegamenti sul Mar Rosso tra la Giordania e l’Egitto. La nostra guida Lonely Planet scrive di acquistare i biglietti direttamente agli uffici della compagnia, ma arrivati là ci reindirizzano al porto, e ci dicono che la nave parte a mezzogiorno, mentre la guida diceva alle 15:00. Sono già quasi le 11:00, pertanto siamo in terribile ritardo: in fretta e furia torniamo in hotel, facciamo le valige, paghiamo il conto e corriamo al porto. Anche qui la guida non ci fornisce indicazioni esatte, perché scrive che ci sono 2 navi in servizio tra Aqaba e Nuweiba, un catamarano turbo, che impiega circa un’ora ma non carica veicoli, e un ferry boat che impiega 3 ore e carica auto e moto. Naturalmente optiamo per il ferry boat, ma sarà un errore. Dopo le solite lungaggini per le operazioni di uscita dalla Giordania riusciamo ad imbarcarci, ma la nave, a nome “Pella”, una vecchia carretta giapponese riciclata, alle 12:00 non dà alcun cenno di voler partire; mentre inganniamo l’attesa passeggiando sul ponte e ammirando il panorama del Mar Rosso, con gli abiti da moto e temperatura torrida, alle 13:00 vediamo arrivare il già citato catamarano; in realtà si tratta di una grande e moderna nave a turbina, la “Princesse”, che contrariamente alle nostre informazioni, carica veicoli. Rapidamente sbarca il contenuto del garage e i passeggeri, e dopo circa un’ora riparte alla volta dell’Egitto. Molto avviliti dobbiamo attendere la partenza del nostro decrepito ferry boat, che finalmente, alle 17:00, ovvero dopo 5 ore di estenuante attesa, pigramente prende il largo e, costeggiando la riva desertica e montuosa dell’Arabia Saudita, si avvia in direzione di Nuweiba. La traversata dura 4 ore anziché le previste 3, cosicché, nel buio precoce di queste latitudini, alle 21:00 arriviamo a Nuweiba; occorre circa un’ora per far scendere i passeggeri ed i veicoli, ma finalmente possiamo posare i piedi e le ruote delle nostre moto sul suolo egiziano. Fortunatamente si avvicina a noi un agente della polizia turistica, che ci spiega dove parcheggiare le moto; poi lui arriverà a darci una mano, nella confusione immane del posto di frontiera. I moltissimi egiziani che sono scesi dalla “Pella” si accalcano agli sportelli dei numerosi, fatiscenti uffici; donne nascoste dai loro veli neri aspettano timidamente nelle vetture parcheggiate, e vengono scaricati e buttati a terra in malo modo i bagagli dei passeggeri, che devono poi arrangiarsi a recuperarli in mezzo alla catasta. Molti caricano sui tetti delle proprie auto ogni genere di oggetto immaginabile, dai materassi ai lavandini, dagli armadi ai tappeti. In questa specie di girone infernale, i nostri eroi corrono avanti e indietro con i vari documenti che tale assurda burocrazia richiede; nel frattempo, io e Veronica andiamo a cambiare un po’ di dinari giordani in lire egiziane. È il quarto cambio di valuta in 4 giorni di viaggio. Nonostante le informazioni che avevo pazientemente raccolto negli ultimi anni, da motociclisti che erano venuti in Egitto con la propria moto e che descrivevano attese di oltre 10 ore alle frontiere egiziane, il tempo che perdiamo nelle varie pratiche, grazie all’aiuto del poliziotto, si limita ad un’ora e mezzo, né più né meno del tempo che occorre per le frontiere siriane e giordane, e a volte anche per quelle turche, quando c’è molto traffico. Lasciamo una buona mancia al poliziotto, che ci è stato veramente utile; in questi posti di frontiera le indicazioni sono scritte esclusivamente in arabo, e gli impiegati raramente parlano inglese. Il motivo è piuttosto semplice: gli stranieri in questi paesi arrivano in aereo, è rarissimo che qualcuno lo faccia via terra…e se qualcuno ci prova deve essere proprio un pazzo, esattamente come lo siamo noi. Alla fine della lunga attesa, ci vengono date due targhe metalliche di colore giallo con scritte in arabo, rosse; una la applichiamo sopra la nostra targa italiana, usando fascette di plastica e nastro americano, l’altra deve venire conservata insieme ai documenti della moto, ed entrambe andranno rese all’uscita dal paese. Ci viene consegnato anche un curioso documento plastificato, che gli egiziani chiamano “license”, che praticamente è una trascrizione in arabo del libretto di circolazione della nostra moto; anche questo verrà reso alla fine del viaggio.
Siamo sfiniti, ma finalmente riusciamo ad uscire dalla frontiera egiziana: è già mezzanotte, ci allontaniamo dal porto e ci avviamo verso il gruppo di alberghi che costituiscono il “centro” di Nuweiba, poi ci fermiamo in quello che più ci ispira, il “Nuweiba Village” e dormiamo qui, in un grazioso bungalow. È tardi e i ristoranti del villaggio sono già chiusi, ma gentilmente ci portano in camera un hamburger, a dire il vero legnoso e bruciacchiato, con contorno di insalata e patatine fritte bisunte…meglio di nulla. Il mattino seguente facciamo colazione e con la luce diurna possiamo almeno vedere il bel villaggio, che si affaccia su di uno splendido mare cristallino, nel quale purtroppo non potremo fermarci: oggi ci aspettano 600 chilometri attraverso la penisola del Sinai, e stasera saremo al Cairo. Facciamo rifornimento e partiamo: la strada costeggia il mare per un po’, poi si addentra nelle montagne. I posti di blocco sono molto frequenti, ogni volta controllano i passaporti, ma bisogna adeguarsi; siamo però ricompensati dai panorami veramente superbi che il Sinai offre, con dune di sabbia dorata che irrompono tra rocce nere e brune. Oltrepassata una stretta gola, la strada inizia a scendere, e dietro ad una curva incontriamo due bambine beduine: sono simpaticissime, così ci fermiamo un po’ con loro a chiacchierare e fare foto; prima di riprendere la strada acquistiamo collanine e braccialetti fatti a mano con perline di vetro.
Verso le 13:00 arriviamo al monastero di Santa Caterina del Sinai ; visto l’orario, il luogo è completamente deserto, così possiamo gustarcelo in tutta pace e tranquillità.
Il Monastero di Santa Caterina si trova a 1500 metri di altezza, alle pendici del Gebel Musa (Monte di Mosè) o monte Sinai, la cui vetta raggiunge 2285 metri. Secondo la tradizione, il Monastero è stato costruito sul sito del roveto ardente.
L'attuale costruzione sorge sulle rovine della fortezza innalzata nel 530 d.C. da Giustiniano, che inoltre fece donazione ai monaci di 100 schiavi egizi e 100 romani con mogli e figli. I monaci offrivano la loro ospitalità sia ai viandanti cristiani che a quelli mussulmani; grazie a questo il monastero fu protetto dall'islamizzazione della nazione.
La maggioranza dei monaci che abitavano il monastero provenivano, allora come oggi, dalla Grecia o da Cipro. Il loro numero, all'inizio del secolo, si aggirava dai 300 ai 400; attualmente sono una cinquantina, dei quali solo 20 abitano nel convento. Il monastero è circondato da mura alte dai 12 ai 15 metri e spesse 1,65 metri, con una pianta quasi quadrata. Le mura a sud-ovest sono ancora originali, invece le altre vennero ricostruite dopo che furono distrutte da un terremoto del 1312.
L'edificio più significativo del monastero è la Basilica della Trasfigurazione, con un alto campanile a pianta quadrata, diviso in tre piani. Le sue campane svegliano i monaci con 33 rintocchi che simboleggiano gli anni di vita di Cristo.
La base della basilica si trova 4 m. più in basso rispetto all'ingresso e vi si accede attraverso una porta del VI secolo d.C. riccamente intagliata; al suo interno sono custodite le spoglie di Santa Caterina, racchiuse in un sepolcro marmoreo. Dietro l'abside è presente la cappella del roveto ardente, che si trova ancora più in basso della basilica e ne costituisce la parte più antica. Di fronte alla chiesa è presente una piccola moschea con il minareto separato, costruita nel XII secolo per i viandanti mussulmani sopra una locanda del VI secolo.
Purtroppo varie parti di questo monastero sono preclusi alla visita ai non cristiani ortodossi.
Ripartiamo in direzione ovest, attraversiamo un’oasi costellata di povere abitazioni di mattoni crudi e proseguiamo, fino ad arrivare ad un bivio che, finalmente, indica “Cairo”. C’è un ristorante a questo bivio, mangiamo qualcosa e ripartiamo. Ora abbiamo il mare alla nostra sinistra e dune e montagne rocciose a destra, e proseguiamo in direzione di Suez. Dopo aver superato vari e sfinenti posti di blocco arriviamo al tunnel che passa sotto il canale di Suez: c’è una fila di veicoli in attesa di entrare nel tunnel, e aspettiamo pazientemente il nostro turno. Quando riusciamo a proseguire il sole sta già calando, ed arriviamo in vista del Cairo alle prime ombre della sera. Imbocchiamo la “ring road”, lunga 70 chilometri, che aggira la capitale egiziana: la nostra meta è Giza, perché vogliamo trovare un albergo vicino alle Piramidi. Sulla “ring road” il traffico è quanto di più caotico e sregolato si possa immaginare: veicoli malridotti sorpassano e tagliano la strada ad altri veicoli senza nessuna regola, persone camminano a piedi e attraversano la carreggiata di corsa, pericolosamente, e non mancano nemmeno carretti stracarichi trainati da cavalli e somarelli. Quartieri poverissimi e degradati scorrono sotto i ponti della “ring road”, dove la gente vive tra i rifiuti insieme a cani, capre e pecore.
Speriamo di vedere apparire in lontananza le millenarie Piramidi prima di venire investiti, e finalmente il nostro sogno si avvera: nonostante lo smog e la foschia dovuta al caldo, le sagome inconfondibili, gigantesche e imponenti si mostrano in lontananza, illuminate dalla luce bianca dei riflettori. Appare sotto di noi anche il Nilo, nero come la notte che ci circonda, sul quale si specchiano le fioche luci delle abitazioni e degli alberghi.
Finalmente ecco il cartello che indica l’uscita per Giza: imbocchiamo la rampa e ben presto ci troviamo proprio sotto la Grande Piramide di Cheope, che vista da così vicino impressiona veramente, per le dimensioni eccezionali. In questa zona ci sono parecchi alberghi: in Egitto si trovano alberghi di lusso a 4 o 5 stelle, e alberghi modestissimi che in Europa difficilmente riceverebbero una classificazione, mentre manca una categoria intermedia tra queste due tipologie. Ci fermiamo al Meridien Pyramid, per chiedere una camera: ci piacerebbe trovarne una con la vista sulle piramidi. Dopo aver passato il metal detector, onnipresente in tutti i luoghi che in Egitto rivestano un qualche tipo di interesse, entriamo nella lussuosa hall vergognandoci un po’ dei nostri vestiti da motociclisti, impolverati e inadeguati all’ambiente. Gli impiegati ci guardano con curiosità, ma molto gentilmente controllano il loro computer: haimè, le camere sono tutte occupate, quindi ce ne dobbiamo andare. Nel parcheggio si è radunata una piccola folla intorno alle moto, e un signore molto cortese di dice di provare al vicino hotel Oberoi Mena House. 168.JPG L’hotel è proprio dietro la curva, ma quando entriamo nel giardino e vediamo la hall, 172.JPG non abbiamo nemmeno il coraggio di entrare, perché sicuramente questo albergo, che scopriremo essere il più famoso e lussuoso del Cairo, è fuori dalla portata dei nostri portafogli: l’edificio è una antica residenza di caccia del Re, trasformata in albergo dal 1884 al 1886 e frequentato da personaggi famosi come l’Aga Khan, Churchill, Roosvelt, Chiang Kai Shek, Bill Clinton, Omar Sharif, Roger Moore, Jane Fonda e molti altri. In ogni caso, tanto per toglierci la curiosità, entriamo della sfarzosa hall tutta dorata 173.JPG, e proviamo di chiedere i prezzi delle camere. Gli impiegati sono di una cordialità e gentilezza esemplari, e sembrano non far caso al nostro abbigliamento a dir poco eccentrico. Hanno camere libere, e per una camera con vista sulle piramidi chiedono 220 $ a notte. Riusciamo a contrattare e calano il prezzo fino a 160 $...sono comunque molti, e, riservandoci di ritornare, andiamo a cercare negli altri alberghi vicini. Sono tutti pieni però, e stanchi come siamo, visto che ormai è quasi mezzanotte, decidiamo di concederci il lusso di una stanza all’hotel Oberoi Mena House. Un viaggio come questo merita un albergo di lusso, almeno al Cairo, soprattutto per la vista che scopriremo dalla nostra stanza: 167.JPG la parte antica dell’hotel con la tipica torre, attorniata da palme altissime, illuminata da luci color oro, sullo sfondo la Piramide di Cheope e, un po’ più arretrata, quella di Chefren.
Vista l’ora tarda i ristoranti dell’hotel sono già chiusi, così andiamo alla bouvette che si trova all’interno della torre per mangiare qualcosa: il locale, arredato con mobili d’epoca, è bellissimo.
L’indomani si visita il famosissimo Museo Egizio. 81.JPG
Fondato dall’archeologo francese Auguste Mariette nel 1858, contiene la più vasta e importante collezione di reperti egizi e greco-romani scoperti nella valle del Nilo. Le sue sale mostrano soltanto una piccola parte del reale patrimonio del museo; il resto rimane nascosto nei vasti sotterranei. Al piano terreno, si può ammirare una incredibile raccolta di sculture e sarcofagi di varie epoche, dall’antico Egitto al periodo greco-romano. Il piano superiore vanta lo spettacolare tesoro ritrovato nella tomba di Tutankhamon; tra i pezzi più belli, la maschera in oro massiccio, 82.jpg decorata con smalti policromi e pietre dure, che ricopriva il volto della mummia del re, ed il sarcofago interno a forma di mummia, anche questo in oro massiccio, più una splendida collezione di gioielli ritrovati tra le bende. Subito fuori dalla stanza del tesoro, tra tanti meravigliosi reperti, spiccano due carri da guerra, i bellissimi letti dorati 82g.jpg usati per l’imbalsamazione del faraone, il suo meraviglioso trono in oro, 82e.jpg i cui dipinti a smalti raffigurano Tutankhamon e la giovane moglie, poi due grandi statue 82d.jpg ad altezza naturale di guerrieri, neri con paramenti ed armi in oro. Descrivere tutte le meraviglie del tesoro sarebbe impossibile in poche righe. Sempre al secondo piano, altri bellissimi oggetti fanno parte della collezione trovata a Tanis, nella sala a loro riservata, con maschere funebri 82c.jpg e sarcofagi in argento massiccio. E ancora collezioni di gioielli, di sarcofagi dipinti, poi la pregevole collezione di epoca romana di sarcofagi provenienti dall’oasi di El Fayoum, in cui i volti dei defunti sono ritratti con incredibile realismo su tavolette lignee apposte sulla testa della mummia. Poi vi sono oggetti e utensili di uso quotidiano, e mummie di animali. Vi è inoltre una sala, per la quale occorre un biglietto aggiuntivo, dove vengono conservate le mummie dei più importanti faraoni della storia d’Egitto, come Ramses II°, Ramses III°, Sethi I°, Thutmosi III°, Ahmosi, ed altri ancora. Il corpo di Tutankhamon, invece, riposa nella sua tomba a Luxor, nella valle dei Re. È affascinante pensare come questi sovrani abbiano attraversato i secoli sfidando il tempo, per riuscire a raggiungere la meta più agognata dagli antichi egizi, l’immortalità. In un certo senso, la loro speranza è stata esaudita, perché dopo migliaia di anni possiamo ancora guardare i loro volti, e i loro nomi rimarranno nei libri di storia per tutti i secoli a venire.
Al termine della visita, andiamo con un taxi scalcinato all’Ospedale Italiano, dove vive da ben 25 anni Pina, una missionaria comboniana, cugina della mamma di Enzo. È una persona veramente eccezionale, con tanto entusiasmo e vitalità: insegna filosofia nei seminari cristiani della città, ci mostra l’ospedale e ci parla dell’Egitto, visto non con gli occhi superficiali di un turista ma con quelli più acuti di chi vi ha passato buona parte della vita.
Salutiamo Pina e prendiamo un altro taxi, per andare a visitare la Cittadella. 101.JPG
Essa sorge ai piedi del monte Moqattam, e venne costruita nel 1176 da Saladino. Si dice che per la sua costruzione vennero impiegate le pietre delle più piccole piramidi di Giza. Dell’impianto originario sono rimaste soltanto le mura di cinta orientali e alcune torri all’interno, mentre i due palazzi signorili dell’epoca ayyubita, distrutti in parte all’arrivo di Selim I°, sono quasi scomparsi. Attraverso la Bab el Gedid (Porta Nuova), che oggi funge da ingresso principale, si entra in un cortile, poi, oltrepassata la Bab el Westani, si giunge nella piazza principale. Sul lato est si affaccia la Moschea di Muhammed Alì, 92.JPG detta comunemente Moschea di Alabastro, 94.JPG che, con i suoi minareti alti e sottilissimi, è divenuta uno dei simboli della città. Innalzata nel 1824 da Muhammed Alì, fu completata sotto il suo successore Sa’id nel 1857. L’architetto fu il greco Yusuf Bosha da Istanbul, che la costruì sul modello di Santa Sofia. 95.JPG Visitiamo l’interno 97.JPG della bella moschea, rigorosamente scalzi. Come tutte le moschee, i pavimenti sono ricoperti da splendidi tappeti, le pareti e le vetrate decorate con fitti intrecci di arabeschi, e bellissimi lampadari a gocce di cristallo pendono dai soffitti. Dall’angolo ovest della terrazza antistante la moschea, si apre un suggestivo panorama 85.JPG della metropoli, con gli innumerevoli minareti, le cupole e i grattacieli. In lontananza si possono scorgere le piramidi di Giza. Di fronte alla moschea di Muhammed Alì si trova la moschea en-Nasir, 99.JPG fondata nel 1318 e rifatta nel 1335 da Muhammed en-Nasir, utilizzando antichi frammenti architettonici. 100.JPG I due singolari minareti sono sormontati da cupole 91.JPG bulbiformi con variopinti ornamenti in maiolica, secondo lo stile persiano.
Pranziamo in un piccolo ristorante sulla vetta della Cittadella, poi scendiamo per vedere la Moschea - Madrasa del Sultano Hassan, 87.JPG che si trova ai piedi della Cittadella ed è considerata il miglior esempio di architettura mamelucca al Cairo. Fu costruita tra il 1356 e il 1363 dall’inquieto sultano Hassan, ma nonostante sia stata danneggiata durante le lotte tra le varie fazioni di Mamelucchi, in seguito bombardata da Napoleone quando tentò di sedare una sollevazione contro l’occupazione francese, rimane tuttavia una costruzione di straordinaria imponenza. Bellissimo l’ingresso rientrante, cui segue un corridoio buio che conduce ad un cortile interno 108.JPG quadrato circondato da alte mura, nelle quali si aprono quattro rientranze ad arco dette “iwan”, dove si svolgevano le lezioni delle quattro principali scuole dell’Islam sunnita. Nel retro dell’”iwan” orientale c’è un “mihrab” 111.JPG particolarmente bello, fiancheggiato da colonne rubate ai crociati. Di fronte alla grandiosa Moschea, si erge la Moschea Al-Rifai, 86.JPG in stile mamelucco e di dimensioni egualmente imponenti. Costruita 500 anni dopo la precedente, è stata terminata nel 1912. All’interno vi sono sepolti i membri della famiglia reale dell’Egitto moderno, tra cui il kedivè Ismail e re Farouk, oltre all’ultimo scià di Persia. Sempre in taxi, dopo aver attraversato il Nilo, 83.JPG andiamo alla Città dei Morti, 113.JPG il quartiere che si trova a est dell’antica città dei Fatimiti, dove si trovavano una volta i cimiteri e le città dei morti. Oggi sono stati incorporati nella metropoli in costante espansione, e di fatto le cripte 117.JPG e le cappelle funebri 120.JPG sono abitate dalla popolazione più povera. Molto belle sono le tombe dei califfi, 122.JPG costruite dalla II dinastia mamelucca o dei Circassi (1382-1517). Tra le diverse tombe del gruppo settentrionale dei mausolei, l’edificio più rilevante si può considerare la moschea del sultano Barquq, ornata da due minareti e due pregevoli cupole. Proseguiamo le visite con il quartiere conosciuto come “Vecchio Cairo”. Entrando nel quartiere, si passa tra due possenti torrioni, resti di una fortezza romana. In questa caratteristica parte del Cairo vi sono alcune interessanti chiese copte da visitare, come Abu Sarga (San Sergio), 123.JPG dove secondo la leggenda Maria si nascose per un mese, durante la sua fuga in Egitto, come la chiesa di Sitt Barbara (Santa Barbara) e Mari Girgis (San Giorgio), riccamente decorata. È interessante visitare anche la sinagoga Keniset Eliahu, la più importante d’Egitto, dove secondo la leggenda sarebbe apparso il profeta Elia. All’angolo sud-est della fortezza romana, sulla torre orientale della porta meridionale si trova la chiesa metropolitana di Sitt Myriam (Santa Maria), detta el-Mo’allaqa (“la sospesa”). È così chiamata perché pare che l’impianto originario fosse appoggiato su una base di canne e legno, sospesa tra due torrioni della fortezza romana. Oggi, ovviamente, ha un basamento di cemento.
Tornati dal caos infernale del Cairo alla più tranquilla Giza, nell’oasi di pace del nostro albergo, approfittiamo della spettacolare piscina con vista sulla Grande Piramide 170.JPG e facciamo un bagno ristoratore. Per cenare scegliamo il ristorante indiano, il rinomatissimo “The Moghul Room”, uno dei tanti ristoranti che si trovano all’interno dell’Oberoi: il cibo è ottimo e piccantissimo. Dopo cena andiamo a vedere il suggestivo spettacolo di “Suoni e Luci” 175.JPG alla piana della Sfinge. Nel buio della notte una voce narrante, che impersona il faraone Chefren, 178.JPG fa rivivere agli spettatori la storia dell’antico Egitto, con una gradevole musica come sottofondo, mentre riflettori di vari colori illuminano i millenari monumenti. 183.JPG
Da dove ci troviamo noi essi appaiono ingannevolmente vicini l’uno all’altro, anche se in realtà sono molto distanti tra loro: in primo piano c’è il Tempio in Valle della piramide di Chefren, 177.JPG subito dietro di esso la Sfinge 182.JPG e sullo sfondo la Piramide di Chefren, 176.JPG a destra quella di Cheope 179.JPG e a sinistra, più arretrata, Micerino.
Il giorno seguente prendiamo le nostre moto per una giornata dedicata alle visite archeologiche. Percorriamo quella che gli egiziano chiamano “Delta Road”, una stretta e sconnessa strada che scorre a fianco di uno dei grandi canali di irrigazione che partono dal Nilo. Su questa strada si affacciano paesini poverissimi, 236.JPG costruiti in mattoni crudi 235.JPG, dove la gente vive con quel poco che ricava dai campi: bambini vestiti di stracci giocano nella polvere, donne velate trasportano sulla testa 217.JPG ogni genere di mercanzia, molte lavano panni e stoviglie nel canale, 216.JPG dove peraltro non mancano carogne di animali e rifiuti.
Questa è la parte di Egitto che ai viaggiatori organizzati si guardano bene dal mostrare. Nonostante le gravi condizioni di indigenza nelle quali vivono, queste persone sono comunque sempre molto socievoli e gentili, sempre sorridenti, 239d.JPG guardano noi e le nostre moto con incredula curiosità 239b.JPG e molti ci salutano agitando le mani.
La prima sosta è a Saqqara, che dista da Giza circa 16 chilometri. Il simbolo di Saqqara, 147.JPG visibile anche a distanza, è la piramide a gradoni del faraone Zoser (III dinastia) e il più antico edificio in pietra di queste dimensioni costruito in Egitto. Siamo fortunati, perché arriviamo in un momento nel quale ci sono pochissimi turisti. 149.JPG Veniamo avvicinati da un giovane, che si presenta come addetto archeologico e ci chiede se vogliamo vedere alcune tombe delle quali ha le chiavi, naturalmente in cambio di una mancia.
Vorrei far notare una cosa: arrivando in Egitto, si può essere inizialmente infastiditi dal fatto che vengano continuamente chieste mance, anche se un prezzo è già stato pattuito, come ad esempio una corsa in taxi, o nel caso che un biglietto sia già stato pagato, come in un sito archeologico. Bisogna però tenere in considerazione il fatto che in questo paese gli stipendi sono vergognosamente bassi: un cameriere d’albergo guadagna l’equivalente di 40 o 50 € al mese, una guida turistica dai 90 ai 100 €. Anche se il costo della vita è sicuramente molto inferiore rispetto all’Europa, con questi stipendi gli egiziani non potrebbero nemmeno sopravvivere; è quindi la normalità, per loro, arrotondare i magri guadagni con piccole mance, che comunque abbiamo notato non venire chieste solo ai turisti, ma anche ad altri egiziani; ad esempio, un tassista che ci accompagnava ha parcheggiato davanti ad un piccolo bar, e prima di andarsene ha lasciato qualche pound al proprietario, e ancora, ha chiesto un’informazione ad un poliziotto, e ricevutala gli ha lasciato una piccola mancia.
Ma torniamo a Saqqara. Accettiamo la nostra guida improvvisata, e sarà una buona idea: ci apre due tombe bellissime, chiuse da lucchetti; la Tomba detta “del Macellaio”, 155.JPG il cui proprietario, Irukaptah, era il responsabile delle macellerie reali, ricca di statue che raffigurano il defunto nelle varie età della sua esistenza terrena, poi passiamo alla Tomba congiunta di Niankhkhnum e Khnumhotep, responsabili della cura delle mani del faraone Niuserra: qui i rilievi affrescati sono particolarmente belli e raffigurano un’ampia gamma di animali e scene di vita dei due defunti. Andiamo verso la Piramide a Gradoni: 151.JPG la nostra guida ci racconta, in inglese, molti particolari interessanti sulla sua storia e sulla sua costruzione. L’opera è attribuita all’architetto Imhotep, inventore del sistema di costruzione a pietre squadrate. È alta circa 60 metri, 152.JPG con una base di 121 x 109. L’ingresso per le camere sepolcrali è sul lato nord; esse servivano in parte per le sepolture dei parenti più prossimi del re, e in parte erano adibite a magazzini. Nella camera sepolcrale del re, 28 metri sotto la base della piramide, sono state ritrovate parti della sua mummia. L’interno della piramide non è aperto ai visitatori. Davanti all’ingresso della piramide giacciono i resti del tempio funerario. A est di questo, nel “serdab”, collegato con l’esterno solo da due spioncini, venne ritrovata la statua a grandezza naturale del re Zoser. L’originale si trova ora al Museo del Cairo, mentre qui è stato sostituito da una copia.
All’angolo nord-est della piramide si trovano le cosiddette “casa settentrionale” e “casa meridionale”, indicate come “falsi palazzi” del faraone, vale a dire simboli del suo ruolo come sovrano del Basso e Alto Egitto. Delle mura di cinta della piramide, alte 10,50 metri, rivestite di calcare e dotate di torri, nicchie e false porte, la parte sud-orientale, con l’ingresso principale, è rimasta ad un’altezza considerevole. Salendo sulle mura, a sud del recinto si vedono diverse mastabe, che vanno dalla III alla VI dinastia; inoltre si gode un vasto panorama sull’intera necropoli e sulle piramidi di Abusir e Gizah a nord, quelle di Saqqara e Dashur a sud, i boschi di palme e i villaggi di Saqqara e Mit Rahina.
Al termine, dopo essere riusciti a fare diverse belle foto 150.JPG alle nostre moto 148.JPG sullo sfondo della Piramide, riprendiamo la strada e andiamo a Dashur, 132.JPG distante da Giza 36 chilometri. Qui si trova una impressionante distesa di Piramidi della IV e XII dinastia: il sito non è frequentato da turismo organizzato, i visitatori sono scarsissimi, nonostante questo luogo sia veramente affascinante, quindi possiamo esplorarlo in completa solitudine. La prima che si incontra è la Piramide Rossa, 128.JPG chiamata anche Piramide Settentrionale, che è la più antica piramide al mondo. Costruita dal faraone Snefru, padre di Cheope e fondatore della IV dinastia, deve il suo nome al colore del calcare eroso dal vento e dai secoli, dopo che il rivestimento in calcare bianco fu asportato già nell’antichità; al suo interno vennero ritrovati resti umani, ritenuti appartenere allo stesso Snefru. In lontananza si scorge la sagoma caratteristica della Piramide Romboidale, 143.JPG che raggiungiamo percorrendo una pista sabbiosa 139a.JPG lunga un paio di chilometri, nella più assoluta solitudine. 139.JPG
Questa piramide è così chiamata perché i suoi costruttori, dopo averne iniziato i lavori, si accorsero che l’edificio dava segni di instabilità strutturale, quindi diminuirono l’inclinazione dei lati a metà della sua altezza da 54° a 43°, conferendole così un aspetto singolare. 137.JPG La piramide è alta 105 metri, ed è stata costruita prima della Piramide Rossa; 131.JPG tale piramide, infatti, rispetta la nuova inclinazione attribuita alla Romboidale, ovvero 43°. Gran parte del rivestimento esterno in calcare bianco è ancora intatto. Ritorniamo indietro in direzione di Giza, e ci fermiamo a visitare il sito archeologico di Menfi, di cui rimangono scarsi resti. La fama di Menfi risale all’inizio della storia egiziana. Secondo la tradizione, il primo re, Menes, la fece un po’ alla volta erigere, e già i sovrani delle prime dinastie vi soggiornavano con la corte. Il massimo splendore risale all’antico regno, quando i faraoni avevano qui o nei dintorni le loro residenze. Anche nel Nuovo e Medio Regno mantenne comunque la sua importanza, allorché Tebe divenne il centro dell’Egitto. Dopo la fondazione di Alessandria, essa conservò il proprio prestigio, e sotto Augusto era ancora una città grande e popolosa, anche se i palazzi reali erano ormai distrutti. In seguito all’editto dell’imperatore Teodosio, i templi vennero rasi al suolo. Quando arrivarono i conquistatori islamici, si stabilirono sulla riva destra del Nilo, e le pietre degli edifici di Menfi vennero riutilizzate per costruire la nuova capitale, il Cairo. Nelle epoche successive, essa cadde nell’oblio. Nell’area archeologica si può ammirare una colossale statua di Ramses II°, 161.JPG che anticamente si ergeva davanti all’ingresso del tempio. Venne scoperta nel 1820 da Caviglia e Sloane. Il colosso, in calcare, aveva originariamente una lunghezza di oltre 13 metri. Il secondo colosso di Ramses, che una volta era posto dinanzi al tempio di Ptah, fu ritrovato nel 1888 ed è rimasto per molti anni nella caotica piazza Ramesse, di fronte alla stazione del Cairo; pochi giorni dopo il nostro rientro in Italia, il colosso è stato trasportato a Giza, nei pressi delle Piramidi, luogo ben più consono alla sua bellezza e alla sua imponenza.
Accanto all’edificio che custodisce il colosso di Ramses si trova la “Sfinge di alabastro”, 163.JPG riportata alla luce nel 1912; doveva ornare l’ingresso sud del tempio di Ptah. È lunga 8 metri, alta 4 e pesa circa 80 tonnellate. Viene attribuita alla XVIII o XIX dinastia. Accanto alla sfinge è collocata un'altra statua colossale di Ramses II°.
Tornati a Giza, andiamo a pranzo da Pina, alla mensa delle missionarie dell’Ospedale Italiano: le anziane religiose sono molto contente di avere ospiti italiani, e soprattutto ospiti così originali da essere arrivati fin qui in moto. Ci fanno mille domande sul nostro viaggio, alle quali siamo ben felici di rispondere, mentre mangiamo avidamente gli squisiti piatti che hanno preparato apposta per noi.
Nel pomeriggio prendiamo un taxi e andiamo a fare una visitina al mercato di Khan El Kalili; purtroppo, essendo giorno festivo, la maggior parte dei negozietti sono chiusi, così ci accontentiamo di una passeggiata tra le poche bancarelle presenti e torniamo in albergo, 189.JPG per toglierci di dosso con un bagno in piscina il caldo umido e lo smog del Cairo.
Questa sera ceneremo al ristorante “Khan El Khalili” che si trova sempre all’interno dell’Oberoi. Il nome è ispirato al celebre mercato del Cairo, l’arredamento è raffinato e lussuoso e il menù propone specialità della cucina mediorientale, nordafricana ed europea.
Il mattino seguente viene dedicato alla visita delle piramidi di Giza, 192.JPG che sono creazioni della IV dinastia (2600-2500 a.C.) e si possono annoverare tra i più antichi monumenti dell’umanità. 193.JPG Ancora oggi affascina la conoscenza tecnica dimostrata dagli Egizi di quel tempo, nonché l’incommensurabile potere dei faraoni, che potevano disporre di decine di migliaia di sudditi e schiavi per erigere questi monumenti colossali. Le possenti strutture 201.JPG sono realizzate in enormi blocchi di calcare, con un rivestimento, originariamente levigato, di finissimo calcare bianco o di granito. La piramide di Cheope 190.JPG è la più grande e imponente: eretta dal faraone Cheope (Khufu), venne chiamata dagli antichi egizi “Ekhet Khufu (orizzonte di Cheope). Secondo Erodoto, vi avrebbero lavorato 100.000 uomini per tre mesi ogni anno. L’enorme costruzione ha un volume di 2,3 milioni di metri cubi, è larga alla base 227,5 metri ed alta 137,2. 191.JPG
A est della piramide si trovano tre piccole piramidi delle regine, fra cui una della figlia del faraone, e un vasto cimitero per i parenti di Cheope. Nel 1954 sono state ritrovate cinque cavità che custodivano una “barca solare”, 203.JPG facente parte dei doni funebri, accuratamente smontata. Completamente ricostruita, è visitabile entro un struttura appositamente allestita, a fianco della piramide. A ovest della piramide di Cheope si estende l’ampio cimitero del re, costruito durante la IV dinastia per i componenti della famiglia reale e per gli alti funzionari. A una distanza di circa 160 metri dalla piramide di Chope, si erge la piramide di Chefren, 207.JPG chiamata dagli antichi egizi “Uer-Chefre” (grande è Chefren). È situata su un’altura e per questo appare più grande di quella di Cheope. L’altezza misura 206.JPG 136,5 metri, il lato alla base 210,5, ed ha un volume di 1,65 milioni di metri cubi. Sulla sommità è rimasta una grossa traccia del rivestimento originario. Nel tempio sul lato est sono ancora chiaramente riconoscibili le singole stanze. Circa 200 metri a sud-ovest della piramide di Chefren si trova la più piccola piramide, quella di Micerino 199.JPG (per gli antichi Menkaura), alta 62 metri. Le tre piccole piramidi accanto ad essa, rimaste incompiute, erano destinate alla famiglia del re. A nord-ovest del Tempio in Valle della piramide di Chefren, un semplice edificio in granito dove venne ritrovata la splendida statua del re, oggi esposta al museo del Cairo, sorge il più famoso monumento dell’antico Egitto, la Sfinge. 209.JPG Il nome le è stato appioppato dagli antichi greci, che vi raffigurarono un personaggio della loro mitologia, peraltro non presente nel pantheon degli dei egizi. Raffigura un leone accucciato, scolpito in un massiccio roccioso, con la testa del faraone Chefren 211.JPG (almeno, così si suppone) ornata dal “nemes” e dall’ureo reale. L’idolo che anticamente si trovava sul petto, così come gli altri ornamenti della testa, sono scomparsi; in più, i danni provocati volontariamente nel corso dei secoli, uniti all’erosione naturale, hanno contribuito non poco a peggiorare le condizioni di questo suggestivo monumento. Tuttavia, anche qui si resta profondamente impressionati dalla creatività e dalla perfezione artistica raggiunte in quella epoca. La lunghezza totale del corpo del leone è di 73,50 metri, l’altezza raggiunge all’incirca i 20 metri. Restauri sono attualmente in corso.
È suggestivo pensare da quante migliaia di anni la Sfinge osserva il mondo, con lo sguardo vacuo fisso sull’odierna Cairo; chissà, se potesse parlare, quante cose racconterebbe! 210.JPG
Il giorno seguente si và all’Oasi di El Fayoum, che si trova a 80 chilometri da Giza percorrendo la West Desert Road. Nei pressi del bivio che porta all’oasi incontriamo l’ennesimo posto di blocco: ci fermano, ci chiedono come sempre i passaporti, vogliono sapere da dove veniamo; contattano telefonicamente il posto di polizia dell’hotel, che evidentemente conferma la nostra presenza, quindi ci lasciano proseguire. Imbocchiamo poi la strada verso Meidum, 32 chilometri a nord ovest di El Fayoum, dove si trova la prima vera piramide che il faraone Zoser tentò di costruire; la avvistiamo in lontananza, 221.JPG ed è stupefacente. 222.JPG Mentre proseguiamo in direzione della piramide, veniamo raggiunti da una camionetta di poliziotti; sono molto meravigliati di vedere stranieri in moto, ci fanno calorosi saluti e ci scortano fino all’ingresso del sito archeologico. Questa piramide fu iniziata come struttura a otto gradoni, sul tipo di quella di Saqqara, poi in un secondo tempo i gradoni vennero colmati e il tutto fu rivestito di pietra calcarea, dando vita alla prima vera e propria struttura a forma di piramide. Nella fase di progettazione, però, vennero commessi alcuni gravi errori, e un po’ di tempo dopo la fine dei lavori il peso stesso della piramide provocò il crollo dei suoi fianchi, lasciando intatto solo il nucleo centrale 224.JPG che ancor oggi possiamo ammirare, emergente dalle macerie.
Anche questo sito non è frequentato dal turismo organizzato, quindi siamo meravigliosamente soli. 223.JPG
Il nostro arrivo è motivo di curiosità e di festeggiamenti anche per i guardiani della piramide, che ci fanno mille domande e osservano perplessi gli adesivi variopinti, raffiguranti le bandiere di tutti i paesi che abbiamo visitato, appiccicati al bauletto posteriore della nostra Africa Twin. Dopo questa visita ci dirigiamo all’Oasi di El Fayoum, sempre accompagnati dai militari. Questa è la più grande delle oasi egiziane, e si trova circa a 80 chilometri dal Cairo; il suo nome deriva dal copto “Peiom”, che significa “il lago”, e si trova incastonata in una depressione del grande altopiano desertico occidentale, che raggiunge i 45 metri sotto il livello del mare. L’oasi è attraversata dal fiume Bahr Yusuf (canale di san Giuseppe). Nell’antichità il lago era pieno di coccodrilli, venerati come divinità locali e impersonati dal dio Sobek. Qui soggiornavano i sovrani della XII dinastia; in particolare, Amenemhat III sembra avesse bonificato vaste zone palustri. Secoli più tardi i Tolomei fecero bonificare ulteriormente le paludi, ottenendo nuovi territori in cui vennero a stabilirsi abitanti greco-macedoni. Il successo di queste trasformazioni è dimostrato dalle coltivazioni e dai villaggi fiorenti, che si estendono da due millenni su quella che era una volta la superficie del lago. Qui vengono coltivati cotone, canna da zucchero, cereali, mais, riso, frutta pregiata, vino, banane, olive e agrumi. Vi si alleva bestiame minuto e pollame. Ci fermiamo sulle rive del lago, in un ristorante, dove ci cucinano dell’ottimo pesce appena pescato. La nostra scorta aspetta che finiamo di pranzare, poi ci riaccompagna sulla West Desert, dalla quale torniamo a Giza.
Arrivati in albergo, facciamo l’immancabile bagno in piscina, e questa sera sceglieremo il ristorante “Al Rubayyat”, con night club e musica dal vivo. Mangiamo veramente bene, ma il sonno e i chilometri che già abbiamo accumulato ci rendono ben presto le palpebre pesanti, così ce ne andiamo a dormire senza vedere lo spettacolo di danza del ventre che si terrà nel locale. Prima di addormentarci, però, prepariamo le valige, perché l’indomani si parte in direzione Luxor.
Sulla possibilità di percorrere i 699 chilometri che separano il Cairo da Luxor senza scorte militari, tempo addietro e in preparazione di questo viaggio avevo scambiato fiumi di mail con persone che avevano effettuato detto tragitto, ma le notizie raccolte erano state contrastanti. Pertanto, non appena arrivati all’Oberoi, ci eravamo informati al posto di polizia dell’albergo sulle regole effettivamente vigenti rispetto al tratto stradale in questione: tenendo presente che in questi paesi le regole non sono mai fisse, e le cose possono anche dipendere dalla persona che hai davanti in quel momento, abbiamo la fortuna di apprendere che potremo viaggiare da soli; il posto di polizia dell’Oberoi ha comunicato ai posti di blocco che si trovano sulla West Desert Road che domani passeranno 2 moto e 4 italiani un po’ pazzi.
Il mattino seguente, pertanto, lasciamo il Cairo e ci avviamo verso Luxor. 226.JPG Anche su questa strada i posti di blocco sono molto frequenti, soprattutto nella prima parte, ed ogni volta perdiamo almeno 10 minuti attendendo che i poliziotti chiamino i loro colleghi per avvisare del nostro arrivo. La strada però è molto bella, scorre in mezzo ad un deserto misto 228.JPG di dune e rocce, non ci sono paesi ma si incontrano solo rari distributori di benzina. Il caldo si fa più secco e più intenso: la temperatura al Cairo si aggirava sui 40°, con parecchia umidità, mentre qui nel deserto, in direzione dell’Alto Egitto, il caldo aumenta (il nostro termometro di bordo segna già 45°) ma l’umidità è praticamente inesistente. Ad un certo punto, dove la strada passa tra dune piuttosto alte, facciamo l’incontro con uno sciacallo: l’animale corre veloce tra le dune, e ci guarda un attimo col musetto appuntito; assomiglia proprio tanto al dio Anubi, l’imbalsamatore. Proseguiamo sulla nostra strada 232.JPG in direzione di Asyut; non c’è proprio nulla 227.JPG sulla West Desert, i paesetti si trovano lungo il corso del Nilo, che scorre parallelamente a noi; non c’è nemmeno un locale per bere qualcosa di fresco per quasi 500 chilometri, così ci accontentiamo dell’acqua calda delle borracce. L’ultimo tratto di deserto 230.JPG è veramente splendido, la sabbia è bianca 232a.JPG ed emergono formazioni rocciose di arenaria rossiccia, non si incontrano veicoli che sporadicamente, e in un tratto dove il deserto si apre in una spianata che si perde a vista d’occhio, veniamo colti 229.JPG da una breve tempesta di sabbia, che rende la visibilità quasi nulla. Fortunatamente riusciamo ad uscirne senza danni, perché la strada si incunea tra alte montagne di roccia bruna, riparandoci dalla sabbia trasportata dal vento impetuoso. Giunti al paese di Gorga, distane dal Cairo circa 590 chilometri, la West Desert Road termina; si prosegue per una stretta strada secondaria che abbandona il deserto e attraversa i campi coltivati, 234.JPG dirigendosi verso il Nilo. In Egitto è sorprendente quanto sia netta la separazione tra deserto e coltivazioni; infatti, lungo il corso del Nilo si trovano campi rigogliosi di cotone, canna da zucchero, palme da datteri, ma non appena si raggiunge il delimitare dei campi, incombe immediatamente l’aridità del deserto, con una linea di demarcazione curiosamente netta. Lasciamo quindi il deserto per addentrarci nell’aera coltivata, dove incontriamo alcuni minuscoli paesini, 235.JPG con le caratteristiche case in mattoni crudi, dove la vita sembra essere rimasta quella di un secolo fa. In uno di questi paesi ci fermiamo a chiedere indicazioni 237.JPG per fare rifornimento di benzina; ci accompagnano davanti ad una misera casupola, e rimaniamo perplessi. Ci guardiamo interrogativamente quando dalla casupola esce un vecchietto, abbigliato nella tradizionale “jellaba”, con una tanica in una mano e un imbuto nell’altra: ecco trovato il distributore di benzina 238.JPG ! Siamo attorniati da un nugolo di persone, 239.JPG incuriosite dai nostri veicoli e da noi, e fatichiamo a ripartire, perché tutti vorrebbero farci domande o offrirci qualcosa. La strada prosegue costeggiando uno dei canali del Nilo, non ci sono indicazioni, dobbiamo chiedere alle persone che incontriamo. Finalmente la stretta e sconnessa strada arriva ad un bivio, dove c’è il solito posto di blocco: i militari appaiono piuttosto sbigottiti, chiamano i loro colleghi, evidentemente qualcuno gli dice che è tutto a posto e alla fine ci portano anche da bere, poi una delle loro camionette ci scorta per un tratto di strada, quello che arriva al Nilo. Il grande fiume appare tra le palme e la fitta vegetazione, e la strada prosegue sulla chiusa di Qena, dove il grande corso d’acqua forma un’ansa pronunciata. Prima e dopo la chiusa naturalmente ci sono posti di blocco; dopo il secondo, la camionetta ci abbandona e possiamo proseguire da soli. Finalmente arriviamo a Luxor, nel tardo pomeriggio. Andiamo a chiedere una stanza all’Hotel Mercure, che si trova proprio sulla “Corniche” lungo il corso del Nilo; dopo la consueta perquisizione all’ingresso, ci trovano la stanza, e ci fanno parcheggiare la moto all’interno del cortile posteriore dell’albergo, davanti alla porta delle cucine. L’hotel dispone anche di una bella piscina, e dopo aver depositato i bagagli in camera ci buttiamo in acqua, per toglierci di dosso il caldo accumulato durante i 699 chilometri di deserto. Il giorno seguente andiamo a visitare per prima la Valle dei Re, che si trova a circa 16 chilometri dal nostro hotel: sulla strada, ci fermiamo a fotografare i Colossi di Memnone. Sono questi due statue colossali, di arenaria silicea bruno-giallastra durissima, raffiguranti il faraone Amenhotep III seduto in trono. Esse ornavano l’ingresso del tempio reale, di cui sono rimasti solo scarsi resti. In età imperiale romana si riteneva che fossero statue di Memnone, figlio di Eos (l’Aurora) e di Tithonos, ucciso da Achille durante la guerra di Troia. Il colosso meridionale è in migliori condizioni rispetto a quello settentrionale. Nel colosso settentrionale, alla sinistra del re si trova sua madre Mutemuia, a destra la moglie Teie. La meta di molti viandanti in epoca imperiale romana era il celebre “colosso che canta”: infatti, si era osservato che, al sorgere del sole, una delle due statue, quella settentrionale, emetteva suoni curiosi. Si diffuse così la leggenda che Memnone salutasse con un dolce lamento sua madre Eos, le cui lacrime (la rugiada mattutina) cadevano sull’amato figlio. L’imperatore romano Settimio Severo fece operare dei restauri sulla statua, che smise per sempre di emettere suoni. La spiegazione che si è tentato di dare a questo fenomeno è che le fenditure tra le pietre inumidite durante la notte, asciugandosi al sorgere del sole, emettessero quei suoni misteriosi. Dopo la foto con la moto 240.JPG davanti ai colossi, procediamo verso la King’s Valley. Sono le 9:00 del mattino ma in questa valle, stretta ed arida, la temperatura supera già i 49°. La King’s Valley è dominata da una piramide montagnosa naturale chiamata “Al-Qurn” (il corno); 240a.JPG il suo nome deriva dalle tombe riccamente decorate, fatte scavare nella roccia dai re della XVIII, XIX e XX dinastia. In contrapposizione con le piramidi, queste tombe erano concepite come corridoi scavati nella roccia e destinati soltanto ad accogliere il sarcofago del defunto, mentre i templi consacrati al suo culto venivano edificati in pianura. Dall’ingresso di questo tipo di tombe, tre corridoi adiacenti scendono in profondità. Sul primo si aprono talvolta delle stanzette laterali; nel secondo e terzo si trovano alcune nicchie per custodire le suppellettili funerarie. Attraverso l’anticamera si entra nella sala principale, sovente retta da pilastri, dove, in un incavo del pavimento, era inserito il grande sarcofago di granito. Adiacenti alla sala, piccole stanze secondarie. Nelle tombe si sono conservati perfettamente bellissimi affreschi, che generalmente raffigurano il viaggio del defunto nell’aldilà. Gli accessi alle tombe aperte ai visitatori sono raggiungibili attraverso un percorso che si snoda per comodi sentieri. Pare che gli antichi re egizi avessero scelto questa remota valle come loro ultima dimora sia per ragioni simboliche sia per motivi pratici: le sepolture si trovano all’ombra della piramide naturale di Al-Qurn, e il luogo era isolato, relativamente facile da sorvegliare; visto dalla pianura di Tebe (l’odierna Luxor) appariva come il punto in cui andava a inabissarsi il sole, che secondo gli antichi egizi scendeva ogni sera nell’oltretomba. Nella valle sono state riportate alla luce complessivamente 62 tombe, non tutte di faraoni; non tutte sono aperte al pubblico, e molte sono in restauro. Nel biglietto di ingresso è compresa la visita di tre tombe tra quelle aperte al momento. Scegliamo di visitare le tombe di Tuthmosis III, Ramses III, Amenhotep II e Tutankhamon, per la quale abbiamo pagato un biglietto a parte. Nascosta fra le colline in mezzo ad alte pareti di calcare e raggiungibile solo percorrendo una ripida scala che attraversa un ancor più ripido burrone, la tomba di Tuthmosos III dimostra fin dove si spingessero i faraoni nel legittimo desiderio di ingannare gli astuti ladri dell’antichità. Questo faraone fu uno dei primi a costruire la propria tomba nella Valle dei Re: scelse il punto più inaccessibile e progettò inoltre un pozzo profondo e una serie di corridoi che si incrociavano nei modi più impensati, per trarre in inganno gli eventuali predatori. Le pareti di questa tomba appaiono come enormi riproduzioni dei papiri funebri, e la camera di sepoltura ha pareti ricurve che le conferiscono un aspetto ovale. Al suo interno si trova il sarcofago in quarzite del faraone, scolpito a forma di cartiglio. La tomba di Ramses III fu iniziata da Sethnakht e poi abbandonata quando gli operai, scavando, si ritrovarono per errore nella tomba di Amenemhat. I lavori furono ripresi da Ramses III che fece deviare il corridoio a destra e costruire quindi una tomba lunga 125 metri. I muri sono decorati con vivaci altorilievi dipinti 256.JPG che rappresentano i testi rituali della tradizione e Ramses davanti agli dei, ma anche scene di vita quotidiana, interessanti perché molto rare: stranieri che portano offerte, l’arsenale reale, imbarcazioni, musicisti. Il sarcofago di Ramses III si trova oggi al Louvre di Parigi, il suo coperchio finemente lavorato a Cambridge, mentre la mummia funse da modello per il film “La Mummia” degli anni 30 ed è conservata al Museo del Cairo. La tomba di Amenhotep II è quella scavata più in profondità nella valle. Vi si accede scendendo oltre 90 gradini, che conducono a una moderna passerella costruita su un pozzo profondo, concepito per proteggere le camere interne dai ladri. Il soffitto della vasta camera di sepoltura è interamente ricoperto di stelle e sulle pareti sono riportati, come in un enorme rotolo di papiro dipinto, 258.JPG testi e figure 257.JPG del Libro di Amduat. Nell’antichità la tomba fu violata dai ladri, che portarono via gli oggetti funebri di valore, lasciando però sul posto la mummia. Nel 1898, quando i francesi scoprirono la grande tomba, furono trovate 13 mummie, tra le quali quella di Amenhotep II adagiata nel suo sarcofago, con al collo ancora una ghirlanda di fiori. Nove delle altre mummie, nascoste qui dai sacerdoti, appartenevano ad altri personaggi di sangue reale: Tuthmosis IV, Sethi II, Amenhotep III, Merneptah, Ramses III, IV, V e VI, Siptah, più altri sei membri della famiglia reale del Nuovo Regno. In una stanza laterale della camera di sepoltura erano state murate altre tre mummie reali. Passiamo poi alla tomba di Tutankhamon, che non è particolarmente grande né degna di nota: reca infatti chiari segni di un monumento funebre costruito in fretta e di una sepoltura piuttosto ingloriosa. Figlio di Akhenaton, Tutankhamon regnò per un periodo relativamente breve e morì giovane, senza legare il proprio nome a grandi battaglie o a monumenti da lui costruiti. L’egittologo Howard Carter era convinto che avrebbe trovato la tomba del giovane faraone tra quelle dai suoi avi, con i suoi tesori ancora intatti; per sei stagioni fece scavi nella valle, rimuovendo migliaia di tonnellate di sabbia e detriti dai siti che riteneva possibili. Alla fine persino il suo ricco mecenate, Lord Carnarvon, cominciò a stancarsi di quella che riteneva una sua personale ossessione. Proprio quando stava per essere privato dei fondi necessari, Carter compì un ultimo tentativo nell’unica zona ancora inesplorata, un terreno sul quale erano state sistemate le baracche degli operai, proprio al di sotto della tomba di Ramses III, che era già stata riportata alla luce. Il 4 novembre 1922 Carter scoprì il primo gradino della tomba, il giorno successivo gli altri scalini e la porta, sigillata. Telegrafò immediatamente a Lord Carnarvon perché egli potesse assistere all’apertura di quella che riteneva essere la tomba intatta di Tutankhamon. La scoperta diede torto agli scettici, e benché la tomba fosse stata depredata due volte nell’antichità, gli inestimabili tesori del faraone rimasti inviolati ripagarono gli sforzi di Carter superando ogni sua aspettativa. Furono trovate quattro camere stipate di cocchi, mobili, statue, strumenti musicali, armi, scatole, vasi e cibo, oltre agli splendidi sarcofagi che contenevano le spoglie del faraone, ricoperte da gioielli e dalla famosissima maschera d’oro 82a.JPG che riproduce le fattezze del suo volto. La maggior parte degli oggetti rinvenuti si trova oggi al Museo Egizio del Cairo, qualche pezzo al Museo di Luxor.
La tomba oggi è vuota, da vedere c’è solo la camera funeraria, decorata con figure dipinte su uno sfondo giallo. Il sarcofago più esterno, in legno dorato, è stato lasciato in loco, e al suo interno riposa la mummia del giovane re.
Lasciamo la Valle dei Re per visitare l’imponente tempio di Deir El Bahri 259.JPG dedicato alla regina Hashepsut. Esso sorge in una pittoresca posizione ai piedi di una ripida parete rocciosa, davanti alle cui masse giallo oro e marrone chiaro si erge, visibile in lontananza, il tempio di calcare bianco. Grazie alla sua struttura, in parte scavata nella roccia e in parte staccata dalla parete, questo tempio è uno dei monumenti più belli e più straordinari dell’Antico Egitto. In origine doveva essere ancor più spettacolare, circondato com’era da una varietà di alberi, piante esotiche e aiuole verdi, raggiungibile da un viale d’accesso fiancheggiato di sfingi. Dopo scavi minori eseguiti da A. Mariette, il tempio venne riportato alla luce nel 1894-1986, su incarico dell’Egypt Exploration Fund, e restaurato da un gruppo di ricerca del Metropolitan Museum di New York. Lavori di restauro sono tuttora in corso. Il tempio era consacrato al dio Amon, alla dea Hathor e al dio dei morti Anubi, oltre al culto funerario della regina. Figlia di Tuthmosis I, Hatshepsut andò in sposa al fratellastro Thutmosi II, il cui figlio, avuto però da un’altra moglie, era destinato a diventare faraone. Quando Tuthmosis II morì, Tuthmosis III era ancora troppo giovane per salire al potere, così Hatshepsut fu nominata reggente. Con l’appoggio politico del sacerdoti di Amon, Hatshepsut governò il paese per vent’anni, e fu un periodo di pace e di crescita interna. La regina venne spesso raffigurata in abiti maschili, barba finta compresa: ciò probabilmente rispecchiava la necessità di adeguarsi ad un modello accettato e riconosciuto. Alla sua morte salì al trono Tuthmosis III. Molti secoli dopo la sua costruzione, in seguito alla diffusione del cristianesimo, nel tempio si stabilirono dei monaci che vi edificarono un monastero, detto dalla popolazione Deir El Bahri (monastero del nord). I monaci distrussero le immagini ritenute “pagane” all’interno del tempio, pertanto gran parte dei rilievi dipinti è andata perduta. La strada rialzata che conduce al tempio è lunga 37 metri, ed attraversa tre grandi terrazze, ognuna preceduta da una rampa e delimitata da un portico colonnato. La terza terrazza 260.JPG è stata aperta al pubblico solo recentemente. Tra quelli superstiti, bellissimi rilievi dipinti si possono ammirare nella Cappella di Anubi e nella Cappella di Hathor 264.JPG; in quest’ultima, si sono conservate in ottimo stato dodici colonne con capitelli hathorici, 263.JPG ovvero raffiguranti la testa della dea, con orecchie di vacca.
Anche in questa spianata il caldo è intensissimo. Lasciamo Deir El Bahri e ci fermiamo al villaggio di Gourna, 245.JPG in una bottega 267.JPG dove viene lavorato artigianalmente l’alabastro, e acquistiamo alcuni bellissimi vasi e ciotole. 265.JPG Le tipiche case basse in mattoni crudi 247.JPG di Gourna sono costruite intorno e sopra alle centinaia di tombe 253.JPG che si trovano lungo gli aridi fianchi delle montagne della sponda occidentale del Nilo. Queste abitazioni tradizionali 244.JPG sono qui da secoli, ma rischiano di sparire entro breve se le autorità riusciranno a far prevalere il loro punto di vista, costringendo cioè gli abitanti a trasferirsi in moderni condomini situati a Taref, a nord della strada che conduce alla Valle dei Re. I burocrati affermano che la gente del posto ruba antichi reperti e danneggia le tombe, accusa mossa loro già nel XIX secolo. Gli abitanti di Gourna, però, insistono nell’affermare che il fenomeno del saccheggio delle tombe è cessato da molto tempo; sostengono anzi che la loro presenza scoraggia eventuali intrusi, e credono che il governo voglia mandarli via perché i turisti non vedano le condizioni di miseria 241.JPG in cui vivono.
A Gourna ci fermiamo a vedere il Ramesseum, uno dei tanti monumenti che Ramses II fece erigere per celebrare la gloria di se stesso. Questo enorme tempio 269.JPG fu infatti costruito per impressionare i sacerdoti, i sudditi, i successori e, naturalmente, gli dei. Purtroppo oggi questo edificio è per la maggior parte in rovina; 268.JPG rimangono due piloni, che misurano oltre 60 metri e presentano rilievi che raccontano i successi militari di Ramses; dopo di essi si accede ad un vasto cortile con doppio colonnato, e oltre ancora quello che rimane della statua colossale di Ramses, che giace a terra abbandonata. Quando era in piedi, questa statua misurava 17,5 metri. In un secondo cortile c’è la testa di un’altra statua colossale del faraone; 29 delle 48 colonne della sala ipostila sono ancora in piedi.
Dopo il Ramesseum spostiamo le nostre moto ai templi di Medinet Habu, 270.JPG che distano un paio di chilometri. Essi si ergono, maestosi ed imponenti, nella pianura a sud ovest della valle delle Regine, sullo sfondo delle montagne desertiche. Possiedono una cinta muraria 288.JPG alta 4 m, coronata da merli e collegata ad un palazzo reale. Sul grande piazzale antistante il tempio c’è una piccola porta edificata da Nectanebo I; a destra il tempio della XVIII dinastia, a sinistra il tempio funerario di Amenerdais, che regnò come principessa sotto il regno di Psammetico I. Un possente primo pilone 271.JPG costituisce l’ingresso vero e proprio del tempio di Ramses III. Dopo il primo pilone, un secondo; anch’esso, come il primo, è ornato da splendide immagini 286.JPG a rilievo, colorate. Lo stato di conservazione dei colori 282.JPG è straordinario, il migliore dell’intero Egitto. Un’altra particolarità unica di questo tempio: i rilievi sono scavati nelle pareti 277.JPG molto più in profondità che in qualsiasi altro tempio egiziano. Un secondo cortile 273.JPG succede al pilone, e porticati affrescati 272.JPG gli fanno da contorno. Delle stanze successive sono rimaste solo le basi delle mura e le colonne. Ovunque è raffigurato il re 285.JPG in compagnia di varie divinità. A sud del tempio troviamo le rovine del palazzo reale. Anche le mura esterne del tempio sono interamente decorate da scene di contenuto storico, che illustrano le gesta di Ramses III. Circa 200 metri a sud del portale orientale, si trova ancora un piccolo tempio di Thot, di età tolemaica; a un grande vestibolo si uniscono tre stanze in fila, con rappresentazioni del dio Thot, del re, di Imhotep e del saggio Amenhotep.
Sono le 13:00, il caldo è terribile, al sole ci sono 56°, pertanto ci sembra il caso di tornare in albergo. Pranziamo, poi a piedi andiamo a visitare il Tempio di Luxor, 291b.JPG che si trova ad un centinaio di metri dal nostro hotel. Il tempio include ancora la piccola moschea di Abu el-Haggag, 294.JPG un santo molto venerato dai fedeli islamici; la moschea oggi appare curiosamente appollaiata al di sopra dell’edificio del tempio, in quanto all’epoca della sua costruzione le antiche mura faraoniche erano sepolte sotto vari metri di terra. Due fedeli si affacciano dalla porta sopraelevata 295.JPG della moschea, ed osservano il passaggio dei turisti. Eretto da Amenhotep III sul luogo di un tempio più antico, il tempio di Luxor veniva chiamato dagli antichi “Ipet-A-mun-resit” (“la sede meridionale di Amon”). Era consacrato ad Amon, a sua moglie Mut e al loro figlio, il dio della luna Khonsu. Come tutti i templi egizi, comprendeva le cappelle delle divinità, con le stanze e i vestiboli attigui, una grande sala ipostila e un cortile coperto con colonnati, dove confluiva, da nord, un grande porticato doppio. Molti faraoni famosi apportarono modifiche e migliorie al tempio: Amenhotep IV (Akenhaton, l’eretico), il suo successore Tutankhamon, Sethi I, Ramses II, che fu il maggior committente di costruzioni. Egli vi fece aggiungere un nuovo cortile colonnato, 304.JPG la cappella di Thutmosi III venne usurpata e decorata con nuovi rilievi, fu costruito un grande pilone antistante il cortile. L’ingresso principale è costituito dal possente pilone di Ramses II, 291.JPG che si affaccia su un cortile dal quale parte un viale fiancheggiato da sfingi con testa di ariete, che anticamente collegava questo tempio con quello di Karnak. Davanti al pilone riposano due statue colossali, 291a.JPG sedute, di Ramses II. 290.JPG Davanti ad esse stavano due obelischi in granito rosa; quello orientale è ancora nella posizione originaria, mentre quello occidentale si trova ora in Place de la Concorde a Parigi. Rilievi, purtroppo rovinati, ornano tutta la facciata del pilone. Entrando, dietro il pilone, c’è il cortile di Ramses II; 301.JPG nell’angolo nord ovest si erge la cappella di Thutmosi III. Anche qui, due belle statue colossali del faraone seduto, una in granito rosso, l’altra in granito nero. Il colonnato meridionale, 303.JPG adiacente, è in buono stato e contribuisce notevolmente ad aumentare l’impressione di potenza dell’edificio. Le colonne, come in tutti i templi che vedremo, hanno i capitelli a forma di fiore di papiro; a volte il fiore è aperto, a volte è chiuso. Dopo questo colonnato, si apre il cortile di Amenhotep III, anche questo con colonne papiriformi. 293.JPG Le pareti di questi edifici sono interamente ricoperte di bei rilievi, anche se qui i colori originali non si sono conservati bene come nel tempio di Medinet Habu. La porta centrale della parete di fondo conduce ad una piccola sala, che divenne una chiesa in età cristiana. Sotto l’intonaco, a tratti caduto, sono tornati alla luce i bei rilievi originali di Amenhotep III. Al termine della visita, utilizzando una carrozzella, 325.JPG ci spostiamo poi di circa 2 chilometri e mezzo, al tempio di Karnak. I possenti complessi monumentali si estendono sul territorio dell’antica città di Tebe. Sull’asse principale si trovano il grande tempio di Amon, il tempio di Khonsu e la sala delle feste di Thutmosi III, più innumerevoli altri edifici. L’ingresso principale 309.JPG è fiancheggiato statue di arieti accucciati, 310.JPG ed è costituito da un grande pilone ancora incompiuto. Oltre ad esso, si accede ad un cortile, nel cui angolo nord sorge il tempio di Sethi I, 313.JPG decorato da splendidi rilievi. Accanto ad esso, una serie di statue di arieti accucciati che appartenevano al viale degli arieti. Quasi al centro del cortile, si erge una colossale statua raffigurante Ramses II, 314.JPG con ai piedi la moglie preferita Nefertari. A destra del cortile, sorge il grande tempio di Ramses III, consacrato ad Amon: due statue del re stanno dinanzi al pilone del tempio. Il cortile successivo presenta corridoi coperti su entrambi i lati, e in fondo al cortile un vestibolo; dal vestibolo, una porta conduce ad un atrio ipostilo, simile ad un portico, retto da otto colonne, su cui si aprono tre cappelle dedicate ad Amon, Mut, Khonsu. Ogni parete è coperta da rilievi 322.JPG che raffigurano il re e le divinità. Torniamo al tempio di Ramses II. Il secondo pilone è in grave dissesto. A fianco del possente portale, un colosso di Ramses II, seduto (anticamente erano due). Oltrepassato questo portale, si apre il colossale atrio ipostilo, 315.JPG anticamente definito “una meraviglia della terra”. Questo enorme complesso provoca un’impressione sconvolgente; la sala è larga 103 m, profonda 52, e copre una superficie di 5000 mq, il soffitto era retto da 134 colonne ordinate in 16 file. Colonne 316.JPG e pareti laterali dell’atrio sono ricoperte di meravigliosi rilievi. Da questo atrio ipostilo alcune porte laterali conducono all’aperto. Il grande atrio termina nel terzo pilone, dell’epoca di Amenhotep III; oltre a questo, il cortile centrale. Anticamente qui si innalzavano quattro obelischi. Ora ne rimane uno, 318.JPG alto 21,75 m, donato da Thutmosi I, interamente ricoperto da iscrizioni. Dopo il chiosco di Sesostri I, si erge il quarto pilone, di Thutmosi I, la cui porta, così come la sala ipostila adiacente, venne restaurata da Alessandro Magno. In questa sala ipostila si trovavano colossali statue osiriache e due obelischi in granito di Assuan, con la punta ricoperta in elettro (lega di oro e argento) dono della regina Hatshepsut. Ora rimane solo un obelisco (l’altro è crollato ed andato in frantumi, riconoscibili a terra). A sinistra, una statua di Thutmosi III 319.JPG. Attraverso il quinto pilone, di Thutmosi I, si entra nelle due piccole sale antistanti il sesto pilone, realizzate da Thutmosi III, ora molto deteriorate. Nel passaggio per il cortile settentrionale, una statua colossale di Amenhotep II seduto, in granito rosso. Del complesso fanno parte anche il tempio di Khonsu, dio della luna, il cui ingresso si trova al termine di una fila di sfingi. Costruito dai Ramessidi, possiede un grande pilone, oltre il quale si apre un cortile, contornato da una doppia file di colonne papiriformi. Sul fondo del cortile, un atrio sorretto da 12 colonne, unito ad una corta e larga sala ipostila. Altre stanze si aprono su questa, con decorazioni dai colori perfettamente conservati.
Sul lato sud ovest del tempio di Khonsu si trova il tempio di Osiride e Opet, la dea ippopotamo della nascita e madre di Osiride. Si entra subito in una sala rettangolare, col soffitto ben conservato, retta da due colonne con capitelli raffiguranti la testa della dea Hathor. Alcune stanze si aprono su questa sala, decorate con rilievi alle pareti.
Il tempio delle feste di Thutmosi III è costituito da una basilica a cinque navate. Due file di 10 colonne e 32 pilastri quadrati reggevano la copertura delle tra alte navate centrali. A est della sala delle feste di Thutmosi III, si trova un secondo tempio di Thutmosi III, consacrato al culto del re e di Hatshepsut. Nella cappella centrale si possono vedere due statue colossali della coppia reale. Davanti, una sala ipostila con sei statue colossali del re 324.JPG nelle sembianze di Osiride, usurpate in seguito da Ramses II. A nord del tempio di Amon, il tempio di Ptah, il dio protettore di Menfi, che venne eretto da Thutmosi III. Ne rimangono un piccolo pilone e un cortile ornato da un portico. A sud delle mura di cinta di Ramses II, intorno al tempio di Amon, si trova il lago sacro, la cui acqua è leggermente salata. A nord un edificio di Thutmosi III e sulle rive del lago, un grande scarabeo di granito, donato da Amenhotep III al dio del sole Atum-Khepre, dalle sembianze per l’appunto di uno scarabeo. L’ora è già tarda, il sole dipinge le colonne secolari, le statue e gli obelischi di Karnak di luce dorata; tra di essi si aggirano come fantasmi, apparendo e scomparendo all’improvviso, i custodi, 323.JPG vestiti delle loro tradizionali “jellabe”.
La nostra intensa giornata di visite è terminata, quindi ce ne andiamo in piscina ad attendere l’ora di cena.
Il giorno dopo andiamo a vedere il Tempio di Abydos, che dista da Luxor 160 chilometri. Per raggiungerlo dobbiamo aggregarci al convoglio con scorta militare che parte alle 7:30; pochi minuti prima dell’orario di partenza, Gianni ha l’improvvisa e impellente necessità di una toilette, e non essendocene nelle vicinanze, torna in albergo a gambe levate. Arriva l’orario della partenza, e di Gianni nessuna traccia; i militari sono nervosi e vogliono partire in orario, gli altri veicoli che compongono i convoglio partono, e Gianni non si vede. Abbiamo già pensato di abbandonarlo al suo destino, mentre anche i militari ci intimano di muoverci; ci stiamo già avviando quando Gianni arriva, tutto trafelato e notevolmente risollevato, così possiamo partire per la nostra visita odierna. Per arrivare ad Abydos torniamo indietro verso Qena, 327.JPG sulla strada 328.JPG che abbiamo fatto arrivando a Luxor (anche perché non ce ne sono altre). La città di Abydos 334.JPG era ritenuta nell’antichità il luogo di sepoltura del dio Osiride, la divinità protettrice dei morti, poiché si credeva che la testa del dio, dopo l’assassinio perpetrato dal fratello malvagio Seth, fosse stata sotterrata proprio qui. Per secoli, nell’Antico Egitto, il tempio di Osiride a Abydos (Osireion) fu luogo di pellegrinaggio al quale bisognava recarsi almeno una volta nella vita, come oggi lo è la Mecca per i Musulmani. La prima struttura che si incontra ad Abydos però non è l’Osireion ma il Tempio di Sethi I; 335.JPG è in grandioso edificio di calcare a forma di L, dedicato alle sei principali divinità del culto egizio: Osiride, Iside, Horus, Amon-Ra, Ra-Horakhty e Ptah, oltre allo stesso faraone, Sethi I. Nei santuari e corridoi bui 338.JPG di questo tempio, ci si sente avvolti in un’atmosfera di mistero, impressione quasi tangibile degli antichi fasti. Al tempio si accede tramite un pilastro e due corti, 336.JPG costruiti dal figlio di Sethi, Ramses II; una volta entrati si incontra la prima sala ipostila, cui fa seguito una seconda, sorretta da 24 colonne a forma di papiro, che conservano ancora i colori originali. Bellissimi rilievi 341.JPG dipinti alle pareti raffigurano Sethi e varie divinità. 339.JPG Dietro a questa sala si aprono i sette santuari, divisi, uno per ciascuna delle divinità che ho elencato. Passando accanto al santuario sulla sinistra, si accede alla cosiddetta Galleria di Re, dove sono raffigurati Sethi con il primogenito Ramses, e tutti i faraoni loro predecessori, con i relativi cartigli. Questa è una preziosissima testimonianza storica, che fu di grande aiuto agli egittologi; dall’elenco sono stati eliminati, scalpellandoli, i nomi della regina Hatshepsut e del faraone Akhenhaton: evidentemente Sethi I ed i suoi successori hanno fatto di tutto per cancellare dalla memoria storica i due scomodi ed insoliti personaggi (un faraone donna e un faraone eretico) per gestire il potere reale secondo canoni più ortodossi. Dietro al tempio di Sethi si trova l’Osireion, costruito con grandi blocchi granitici e posto ad un livello inferiore rispetto al tempio; è semi sommerso dall’acqua della falda freatica, e al centro della camera sepolcrale si trova un pesante sarcofago, anch’esso di granito e anch’esso immerso nell’acqua, che si credeva contenere la testa del Dio Osiride. Tornando verso Luxor, 352.JPG ci fermiamo al Tempio di Hathor a Dendera, che si trova più o meno all’altezza della città di Qena, sulla riva occidentale del Nilo, dove il fiume descrive un’ampia ansa. La città di Dendera è annoverata fra le più antiche e famose città egiziane. Fu la capitale del VI nomo dell’Alto Egitto.
Il complesso del tempio di Hathor, 364.JPG di epoca tolemaica, è contornato da mura in mattoni di fango del Nilo. Il monumentale portale risale al tempo dell’imperatore Domiziano (I sec. d.C.). Dietro all’ingresso, un viale porta direttamente al tempio di Hathor, che venne eretto nel I sec. a.C. sotto l’ultimo dei Tolomei e l’imperatore Augusto. L’imponenza della costruzione 354.JPG è inferiore ai templi di Karnak e Luxor, tuttavia colpisce per la superiorità e la coerenza dell’esecuzione, così come per l’armonia delle proporzioni. Le decorazioni parietali 362.JPG estremamente ricche meritano di essere considerate un’eccellente creazione 363.JPG dell’arte decorativa tardo egizia. Il portale centrale si apre sull’atrio ipostilo interno col soffitto retto da sei colonne dai capitelli in forma di testa di Hathor. Dall’atrio ipostilo si passa alla sala delle offerte, illuminata da feritoie e aperture nel soffitto e nelle pareti. Bellissimi e fitti rilievi 358.JPG ricoprono interamente le pareti. Segue un vestibolo, che si apre su altre piccole stanze. Dal vestibolo si accede alla parte più interna del tempio, il santuario, dove stavano la barca sacra e i simulacri degli dei. Intorno al santuario corre un corridoio illuminato da aperture laterali e feritoie nel soffitto. In questo corridoio si trovano undici piccole stanze, adibite a cappelle. 359.JPG Un custode ci indica di scendere una ripida e traballante scaletta di legno, che porta ad una piccola apertura sotterranea oltre la quale filtra una debole luce, e ci fa segno di entrare; il problema è che questa apertura è talmente bassa che bisogna strisciare sul pavimento per poter accedere. Un po’ perplessi, ci infiliamo comunque nel cunicolo: dall’altra parte c’è uno stretto e basso corridoio sotterraneo, pieno di bellissimi bassorilievi 360.JPG affrescati. Questa è una delle cripte sotterranee dove venivano conservati simulacri e suppellettili non più usati. Ve ne sono in tutto dodici, nel tempio, e i sacerdoti le usavano anche come rifugi in caso di aggressioni. Dalla sala delle offerte, due scale portano al tetto del tempio. Il tetto è composto da diverse terrazze; su quella più bassa si trova un piccolo tempietto aperto, 356.JPG con dodici colonne hatoriche. Dall’alto del tetto, si gode un superbo panorama sulla valle del Nilo e sulle montagne desertiche. Una volta ridiscesi, facciamo un giro intorno al tempio, per ammirare gli splendidi rilievi delle pareti esterne. In un angolo, sono raffigurati la celebre regina Cleopatra VII Filopatore, e il figlio avuto da Giulio Cesare, Tolomeo XV Cesare, soprannominato Cesarione. A destra della porta settentrionale del tempio si trova il “mammisi”, ovvero il “tempio del parto”, tipica costruzione che si ritrova in tutti i grandi templi di età tolemaica, adibita al culto dei figli delle divinità a cui il tempio principale è dedicato. Questo era dedicato ad Harsomtu, figlio di Iside e di Horus. Venne eretto sotto Augusto e arricchito sotto Traiano e Adriano. A sud di questo si trova un secondo “mammisi”, più antico, iniziato da Nectanebo I e terminato in epoca tolemaica. All’angolo sud occidentale del tempio di Hathor si trova il lago sacro, un bacino profondo dotato di una cinta muraria. Dietro al tempio di Hathor, a sud, si erge il tempio di Iside, consacrato alla nascita della dea, costruito sotto Augusto utilizzando frammenti di un edificio più antico.
Tornati a Luxor, andiamo a fare shopping: 331.JPG compriamo i caratteristici papiri decorati con disegni ispirati all’antichità, e alcune bottigliette di essenze profumate.
Il giorno dopo, sempre seguendo un convoglio che parte alle 7:00, andiamo ad Assuan, che dista 220 chilometri da Luxor. La strada costeggia il Nilo, 351.JPG allontanandosi da esso solo per brevi tratti: il fiume, con le zone coltivate, sono alla nostra destra, mentre a sinistra è già deserto. La netta linea di demarcazione è costituita dalla strada. Facciamo sosta al bellissimo Tempio del Dio Falco Horus 370.JPG a Edfu. La città di Edfu sorge in un punto dove il Nilo si apre in tutta la sua ampiezza, 100 km a sud di Luxor, sulla riva sinistra. Il dio Horus, dalla testa di falco, 383.JPG secondo la leggenda a Edfu sostenne una delle sue grandi battaglie contro il malvagio dio Seth. Il tempio dedicato a Horus, eretto circa 2000 anni fa, offre una vista spettacolare 369.JPG grazie al suo stato di conservazione quasi perfetto, anche se purtroppo è ubicato in una posizione infelice, in un avvallamento del terreno tra le case della città. Il tempio, oltre che ad Horus, è dedicato alla dea Hathor di Dendera e al loro figlio Harsomtu; venne iniziato da Tolomeo III Evergete e terminato dal successore, Tolomeo Filopatore. Il grande pilone di ingresso 371.JPG è decorato da rilievi 372.JPG e scritte, mentre ai lati del portale sono sistemati due falchi colossali 384.JPG in granito nero. Dopo il pilone, si accede al cortile colonnato, 374.JPG lastricato e circondato da 32 colonne su tre lati, con capitelli floreali 373.JPG o palmiformi molto ricchi. Il retro del cortile è costituito dalla facciata del pronao, 382.JPG accanto al cui portale si trova un'altra statua colossale di Horus. 385.JPG Il pronao è retto da 12 colonne con capitelli floreali. 381.JPG Il soffitto si è molto scurito, per cui non si distinguono più le raffigurazioni astronomiche, mentre le pareti sono interamente coperte da rilievi. 379.JPG Segue un atrio ipostilo, con soffitto retto da 12 colonne, e fessure alle pareti e al soffitto per l’illuminazione. Adiacenti all’atrio ipostilo vi sono due vestiboli. Il santuario 377.JPG è un edificio particolare, a sé stante, illuminato da fessure rettangolari nel soffitto. Bellissimi rilievi alle pareti raffigurano il re e il dio Horus. 380.JPG Il santuario è circondato da un corridoio sul quale si aprono 10 piccole stanze poco illuminate, decorate con rilievi i cui colori sono ottimamente conservati. All’esterno del tempio, si può osservare un antico “nilometro”, impianto simile ad una cisterna, con una scala a chiocciola. Si utilizzava per misurare il livello delle piene del Nilo. A ovest della porta del tempio sorge il “mammisi”, delimitato da una galleria, il cui soffitto è retto da colonne con capitelli floreali sormontati da dadi ornati con teste del dio Bes.
Nell’attesa che il convoglio riparta, scambiamo quattro chiacchiere con i poliziotti della scorta, che vogliono anche farsi fotografare vicino alle moto. 385a.JPG Partiti da Edfu, proseguiamo sulla strada 392.JPG che porta a Luxor, attraversando 399.JPG vari ed animati paesini, 394.JPG e dopo circa 60 chilometri facciamo un’altra sosta archeologica al tempio di Kom Ombo, dedicato alle due divinità, Sobek dalla forma di coccodrillo, e Horus dalla forma di falco.
L’antica città egizia di Ombos, il cui nome è rimasto nell’odierna Kom Ombo (collina di Ombos) deve la sua origine all’importanza strategica del luogo in cui è sorta, da dove si dominano il fiume e le vie che dalla Nubia conducono alla valle del Nilo. La città raggiunse l’apice del suo potere in età tolemaica. Dei templi dell’antichità non è rimasto quasi nulla. A Ombos si veneravano due divinità, Sobek dalla testa di coccodrillo, e Haroeri dalla testa di falco. Assieme a Sobek si adoravano anche Hathor e il giovane dio della luna, Khonsu, assieme a Tasenetnofret, la “buona sorella”, una particolare personificazione di Hathor e Panebtaui, il “signore delle due terre”. Le rovine della città, nel nord est dell’altopiano, sono ricoperte di sabbia. I templi, a sud, sono stati riportati alla luce e restaurati nel 1893. Il tempio di Sobek e Haroeri 401.JPG presenta una pianta unitaria, in base alla quale i due templi vennero posti uno accanto all'altro nello stesso edificio. I tolomei lo ornarono di rilievi; 410.JPG soltanto quelli del cortile 404.JPG e delle mura esterne risalgono al tempo di Tiberio. L’impianto è simile a quello degli altri templi tolemaici (Dendera, Edfu, File), ma poiché era consacrato a due divinità differenti che venivano venerate con riti e feste particolari, l’edificio è diviso in due parti da un ideale asse longitudinale, dotata ciascuna di propri ingressi, porte e di una cappella. La metà meridionale 412.JPG (destra) appartiene a Sobek, quella settentrionale 402.JPG (sinistra) ad Haroeri. I rilievi sulle colonne e sulle pareti 407.JPG raffigurano le due divinità, gli imperatori romani Domiziano e Tiberio, e la regina Cleopatra VII. Il pilone attraverso il quale si accede al tempio aveva anticamente due porte; la metà sinistra è completamente scomparsa, mentre del pilastro centrale e del battente destro sono visibili le basi. Il cortile del tempio, come a Edfu, era cinto da portici su tre lati: delle 16 colonne originarie 406.JPG sono rimaste solamente le metà inferiori. L’antica pavimentazione del cortile, così come delle stanze interne del tempio, si è conservata in modo eccellente. L’atrio ipostilo esterno possiede 10 colonne con ricchi capitelli 409.JPG a motivi vegetali e palmiformi. Due porte conducono all’atrio ipostilo interno il cui soffitto, più basso di quello dell’atrio esterno, era retto da 10 colonne papiriformi, con capitelli ombrelliformi aperti. Vi sono tre vestiboli adiacenti, decorati con splendidi rilievi. 405.JPG Le pareti orientali del corridoio esterno sono coperte di immagini che mostrano l’imperatore Traiano. Sul lato sud della costruzione, una scala sotterranea scende verso il fiume. Sulla riva, i resti di un “nilometro” simile a quello di Edfu. Sulla piazza, a est, si trovano i resti di diversi edifici minori: una porta romana, le macerie di una cappella, due pozzi in muratura. Da uno di essi partiva un condotto che alimentava un piccolo bacino, dove probabilmente venivano tenuti i giovani coccodrilli sacri. A sud del cortile, nella cappella di Hathor, eretta dall’imperatore Domiziano in arenaria rossa, sono conservati due coccodrilli mummificati, qui ritrovati. Attraversando il paesino di Kom Ombo 414.JPG fotografiamo scorci di vita locale 400.JPG veramente unici. 413.JPG
A Edfu e Kom Ombo attraccano anche le eleganti navi da crociera 412a.JPG che partono da Luxor e da Assuan. Arriviamo ad Assuan all’ora di pranzo, e andiamo ad alloggiare all’Hotel New Cataract, le cui camere hanno grandi balconi con un panorama veramente incomparabile 421.JPG sul Nilo 422.JPG e l’Isola Elefantina. 419.JPG La bella cittadina di Assuan è situata sotto la Prima Cataratta del Nilo, sulle rive orientali del fiume, 423.JPG e occupa parte di un colle 424.JPG e una zona pianeggiante. È luogo di cura invernale molto frequentato per il clima caldo e asciutto.
Pranziamo al self service dell’hotel, poi andiamo a rinfrescarci nella bella piscina. 418.JPG Ad Assuan il caldo raggiunge temperature record: il termometro della piscina segna 54°, anche se l’umidità è solamente del 18%. Nel tardo pomeriggio andiamo a piedi a fare una visitina al suq; rimaniamo un po’ delusi però, perché questo mercatino, che fino poco tempo fa era uno tra i più caratteristici del Nord Africa, è stato trasformato in una variopinta e chiassosa struttura accalappia turisti, con una nuova pavimentazione al posto della vecchia stradina di terra e sassi e tristi loculi tutti uguali, con tanto di portichetto di legno, dai quali fuoriescono venditori appiccicosi (che è veramente difficile togliersi di torno), al posto dei negozietti caratteristici di un tempo. Solo una piccola parte del suq ha conservato le sue caratteristiche. 448.JPG Entriamo in un negozietto di spezie 449.JPG e acquistiamo semi di cardamomo, semi di cocomero tostati, zafferano, pepe verde, nocciole, e alcune bottigliette 451.JPG di vetro colorato tipiche dei paesi mediorientali e nordafricani. Facciamo poi un passaggio rapido lungo la strada piena di negozi, e torniamo indietro cercando di toglierci di torno gli sciami di venditori.
Il giorno dopo abbiamo deciso di andare ad Abu Simbel: il convoglio parte alle 4:00, quindi si fa una levataccia alle 3:00, per essere puntuali al luogo di ritrovo. Separano Assuan da Abu Simbel 275 chilometri di deserto; con le prime tenui luci dell’alba, dalla nostra finestra il panorama su Assuan 427.JPG è spettacolare, 430.JPG e quando scendiamo a prendere le moto il caldo è sopportabile, contrariamente a quanto avviene dopo le 10:00, quando le temperature si innalzano vertiginosamente. Arriviamo ad Abu Simbel alle 7:00. Quando entriamo nel sito, sotto di noi, dalla riva rocciosa del Lago Nasser sta salpando la nave da crociera “Nubian Sea”, 451a.JPG che percorre il lago avanti e indietro da Assuan ad Abu Simbel, facendo sosta ai templi che si trovano lungo le coste: Kalabsha, Beit El Wali, Qertassi, Wadi Es Sebou, Dakka, Maharraqa, Amada, Qasr Ibrim. Tutti questi templi sono stati spostati rispetto alla loro collocazione originaria, grazie all’intervento dell’Unesco, così come Philae e Abu Simbel, quando l’innalzamento del livello delle acque del Nilo causato dalla costruzione dell’Alta Diga di Assuan rischiava di sommergerli per sempre.
I templi di Abu Simbel 452.JPG si possono sicuramente annoverare tra i più grandiosi monumenti 456.JPG dell’antichità egizia. Entrambi furono costruiti sotto il regno di Ramses II. Il tempio maggiore era consacrato ad Amon-Ra e a Ra-Harakhti, le divinità principali del Basso e Alto Egitto; inoltre, qui si trovava anche il centro di culto di Ptah e del faraone stesso divinizzato. Il tempio più piccolo, 469.JPG accanto a questo, era dedicato alla dea Hathor e alla sposa preferita del faraone, la regina Nefertari. 471.JPG Nel corso dei millenni, qui passarono eserciti, mercanti, carovane e altri viandanti, che lasciarono numerose iscrizioni. Col trascorrere dei secoli i due templi affondarono nelle sabbie del deserto e caddero nell’oblio fino all’inizio del XIX secolo, quando lo svizzero J.L.Burckhardt, in viaggio in oriente, scoprì le colossali teste di Ramses 462.JPG che affioravano dalla sabbia. In seguito, nel 1817 l'italiano Giambattista Belzoni iniziò lo scavo sistematico dei templi, i quali non tardarono a divenire una delle principali attrazioni dell’Egitto. Nuovi pericoli si delinearono per i templi nel 1960, quando iniziarono i lavori di costruzione della Diga Alta di Assuan: anche queste meraviglie rischiavano di finire sommerse per sempre. A una richiesta di aiuto da parte di Egitto e Sudan, fece seguito una esemplare azione di soccorso dell’Unesco, grazie alla quale furono salvati entrambi. Sei imprese internazionali parteciparono all’operazione: vennero divisi rispettivamente in 807 e 235 blocchi numerati, da 20 tonnellate ciascuno, e spostati 65 metri più in alto rispetto alla collocazione originaria. Le pareti interne e i soffitti vennero fissati ad una struttura di cemento armato, costruita da un’impresa italiana, che garantisce anche la statica del complesso.
Il tempio grande si inoltra nelle rocce per 63 metri; l’asse è orientato da ovest verso est, in modo tale che due volte all’anno, il 21 febbraio e il 21 ottobre, i raggi del sole nascente possano filtrare fino alle statue delle divinità sulla parete di fondo del sacrario. Di fronte alla possente facciata del tempio, alta 33 metri, di ergono 4 statue colossali 453.JPG scolpite nella roccia e sedute su un semplice trono cubiforme. Con i loro 20 metri di altezza queste figure presentano tratti straordinariamente accurati, e dominano il quadro d’insieme dell’imponente facciata di roccia. Esse rappresentano l’immagine divinizzata di Ramses II. La seconda statua perse la parte superiore, si pensa ancora in tempi antichi; la testa del sovrano giace ora ai suoi piedi. Accanto ai colossi di Ramses, sono collocate le statue raffiguranti le donne della casa reale: la principessa Nebettaui, la principessa Bent’anta, la regina madre Muttuia, la regina Nefertari, e il principe Amenhhirkhopshef. La facciata del tempio termina in alto con un fregio di 22 babbuini. Attraverso il portale, si accede alla sala ipostila: due file di 4 pilastri quadrati suddividono la stanza in tre navate: quella centrale è il doppio di quelle laterali. Sulle facce dei pilastri rivolte verso il centro si trovano statue alte dieci metri, 468.JPG raffiguranti Osiride con flagello e pastorale. Il soffitto della navata centrale è decorato con avvoltoi, quelli delle navate laterali con stelle. I rilievi murali, 465.JPG ben conservati anche nei colori, sono di un grande interesse storico-artistico: vi si vede il re con varie divinità e in scene di guerra contro siriani e libici. La parete nord presenta i rilievi più famosi, quelli della guerra contro gli Ittiti e la battaglia di Qadesh, 466.JPG che finì in parità e con un trattato ma che Ramses qui fece raffigurare come una schiacciante vittoria bellica del suo esercito. A destra e a sinistra della sala dei pilastri si aprono otto piccole stanze laterali, tutte decorate, e una seconda sala ipostila, divisa in tre navate da pilastri decorati. Tre porte immettono, a ovest, in una sala trasversale; qui si aprono tre stanze, nella zona più recondita del tempio. Quella centrale costituisce il santuario, sulla cui parete di fondo si trovano le grandi statue sedute 468a.JPG di Ptah, Amon-Ra, Ramses II e Ra-Harakhti. Tutti gli anni, il 21 febbraio e il 21 ottobre (in una di queste date era probabilmente avvenuta l’incoronazione di Ramses II), i raggi del sole nascente penetrano fin nel santuario a illuminare i volti delle divinità. Ci spostiamo poi a visitare il tempio piccolo (tempio di Hathor). Alla facciata si addossano sei statue colossali, 472.JPG alte oltre 10 metri, del re e della sua sposa. Accanto ad esse stanno le statue più piccole dei loro figli. Il portale è inserito nel contrafforte centrale, più massiccio; sopra l’ingresso, un grande fregio con urei (i sacri cobra). Si entra in un pronao quadrato, diviso in tre navate da pilastri. I rilievi alle pareti sono più semplici e meno colorati di quelli del tempio grande, tuttavia hanno anch’essi un alto valore storico-artistico: raffigurano il re e la regina che fanno offerte agli dei e davanti a loro uccidono dei nemici.
Il convoglio riparte alle 10:00, e alle 13:00 siamo già di ritorno ad Assuan.
Pranziamo in albergo, e nel pomeriggio andiamo a vedere altri luoghi interessanti: a 5 chilometri a sud della città si trova la prima grande diga sul Lago Nasser, eretta tra il 1898 e il 1912. Al tempo della sua costruzione era il più grande e lungo sbarramento del mondo; divenuta in seguito insufficiente, 7 chilometri a monte è stata costruita la Diga Alta (Sadd el-‘Ali), un colossale terrapieno di 42,7 miliardi di metri cubi (17 volte il volume della Piramide di Cheope) iniziato nel 1960 e terminato nel 1971. Trentacinquemila operai e ingegneri hanno contribuito alla costruzione di quest’opera imponente. Il livello rialzato delle acque rese necessario il trasferimento di circa sessantamila nubiani e sudanesi, ma determinò anche l’attuazione di uno dei più straordinari programmi di salvataggio mai realizzati dalla tutela internazionale dei monumenti: numerosi templi, complessi funerari, chiese e monasteri dell’antichità e del medioevo furono smontati dalla loro ubicazione originaria e rimontati più in alto, in nuove località. Ci fermiamo in mezzo alla Diga Alta per ammirare il lago Nasser, secondo al mondo per estensione tra i laghi artificiali. Esso misura 5250 kmq, è lungo 510 chilometri ed è largo da 5 a 35 chilometri. Grazie alla diga è oggi possibile attuare una costante irrigazione della zona fertile, la superficie coltivabile si è estesa e il numero dei raccolti annuali è raddoppiato o addirittura triplicato. Grossi vantaggi si sono ottenuti nella produzione energetica e nell’eliminazione di siccità o inondazioni imprevedibili. Si è però rivelata negativa la cessazione della concimazione naturale del fango del Nilo, che deve essere sostituito da concimi chimici molto costosi..Dall’alto della diga si può vedere il piccolo tempio di Kalabsha 473.JPG specchiarsi sul lago Nasser. Il tempio di Kalabsha sorge un chilometro a sud della Diga Alta, sulla riva sinistra del lago. Qui sono stati ricostruiti i templi dell’antica città di Kalabsha, di Beit El Wali e di Qertassi, minacciati dall’accresciuto livello del lago e portati in salvo grazie alla collaborazione internazionale. Il grande e suggestivo tempio di Kalabsha sorgeva originariamente circa 50 chilometri a sud, ai piedi delle rovine dell’antica Talmis, oggi sommerse. Il tempio venne diviso in 13.000 pezzi e quindi ricostruito nella posizione attuale, grazie ai finanziamenti della Repubblica Federale Tedesca. L’edificio venne eretto sotto Augusto, ma la decorazione è rimasta incompiuta. Era consacrato principalmente al dio Manduli, ma vi venivano adorati anche Iside e Osiride. A nord ovest del tempio di Kalabsha si trova il tempio rupestre di Beit el-Wali (“dimora di Wali”) Eretto da Ramses II, è stato anch’esso salvato dalle acque del lago grazie al sostegno finanziario degli USA. A nord del tempio di Kalabsha, raggiungibile seguendo un sentiero di sabbia, si trova il tempio di Qertassi, una volta ubicato circa 30 chilometri a sud, molto simile al chiosco di Philae. Questo piccolo gioiello misura soltanto 8 metri di lunghezza e di larghezza. Nei pressi dell’Alta Diga c’è una torretta per l’avvistamento dei coccodrilli: come risaputo, il coccodrillo del Nilo, scomparso dal fiume nel Basso Egitto dopo la costruzione della Diga, ma ben presente nel Lago Nasser e nella parte del Nilo che vi si immette, è un enorme rettile che da adulto raggiunge la ragguardevole lunghezza di 6 metri. Un egiziano ci spiega che ogni tanto qualcuno di essi si infila nel tunnel che convoglia l’acqua alle turbine, bloccandole; per questo è stato costruito il punto di avvistamento. L’egiziano non parla inglese molto bene, perciò non riusciamo a capire in che modo i coccodrilli vengono avvistati, e come vengono allontanati. Proseguiamo le nostre visite con le cave di granito a sud est della città, dove gli antichi egizi estraevano il bel granito rosso di Assuan per gli edifici e le sculture. Nella cava settentrionale si trova un obelisco lungo 41,75 metri, rimasto incompiuto a causa del cedimento del materiale. Si possono ancora riconoscere le molteplici tracce del lavoro degli scalpellini.
Il pomeriggio è dedicato ad un giro sul Nilo in feluca. 433.JPG Le feluche sono piccole barche fluviali 436.JPG con una grande vela triangolare che navigando, per affrontare il vento dall’angolazione migliore, a volte si inclinano 438.JPG quasi a toccare il pelo dell’acqua. Visitiamo il giardino botanico 447a.JPG sull’isola di Kitchener, 441.JPG che ospita una grandissima quantità di piante e alberi di tutto il mondo. Da qui si ha una bella visione del Mausoleo dell’Agha Khan, 440.JPG fatto costruire su di un’altura dalla begum Yvette Labrousse, moglie francese dell’Agha Khan (il sultano Muhammed Shah III, capo spirituale della setta degli Ismailiti).
Ceniamo nel nostro albergo, poi andiamo a vedere il famoso hotel “Old Cataract”, 474.JPG che si trova proprio a fianco, all’interno del medesimo giardino. Questo bellissimo edificio, ex residenza reale, è perfettamente mantenuto nello stile dell’epoca della sua costruzione, con interni sfarzosi e eleganti saloni. Qui vennero girate alcune scene del film “Assassinio sul Nilo”, tratto dall’omonimo romanzo di Agata Christie. Quando, nel tardo pomeriggio, torniamo in hotel, troviamo una sorpresa imprevista: accanto alle nostre moto, ci sono parcheggiate 2 BMW GS Adventure, 431a.JPG una 1150 e una 1200. Le targhe sono coperte da quelle egiziane quindi non riusciamo, momentaneamente, a capire la loro nazionalità; le due moto sono allestite da Touratech in modo tale che inequivocabilmente stanno affrontando un lungo viaggio: montano gomme tassellate, bauletti Zega in alluminio ai quali sono fissate taniche metalliche per la benzina, una delle due moto ha fissati al bauletto posteriore 2 pneumatici stradali di ricambio. A forza di girare loro attorno con entusiastica curiosità, scopriamo sui rispettivi cupolini e sui bauletti posteriori la bandiera dell’Irlanda, più un adesivo con scritto “Cape Town to Cork” 431b.JPG ed un altro con la bandiera dell’Etiopia. Supponiamo che i motociclisti siano irlandesi, e nel frattempo Superquark trova sulla sua moto un loro bigliettino, che conferma la nostra ipotesi. Scrivono che avrebbero piacere di conoscerci, e ci lasciano il numero della loro stanza; gli lasciamo un messaggio alla reception, per incontrarli a cena. Qualcosa però non funziona bene, perché all’orario di cena non si presentano; li aspettiamo fin quasi alle 23:00, poi desistiamo, anche se ci farebbe veramente piacere parlare con loro.
Il mattino seguente, però, li incontriamo a colazione, e rimaniamo parecchio stupiti dalla loro età: sono 2 uomini e 1 donna, tutti sulla sessantina, sono partiti otto settimane fa da Cape Town, in Sud Africa (probabilmente le moto sono state spedite in aereo dall’Irlanda, ma non siamo riusciti a capire perché parlano troppo in fretta) ed hanno attraversato Namibia, Angola, Zaire, Tanzania, Kenya, Etiopia, Sudan, e dal Sudan sono arrivati qui in Egitto. Ci chiedono se ci sono traghetti che collegano l’Egitto con l’Italia, perché era loro intenzione arrivare nel nostro paese, una volta lasciata l’Africa; dobbiamo deluderli, perché come ben sappiamo, da diversi anni nessun ferry boat effettua più questo tragitto. Li consigliamo di proseguire il loro viaggio attraverso la Giordania, la Siria e la Turchia, che sono paesi bellissimi da visitare, oppure attraversando la Libia: per questo paese però occorre, oltre al visto turistico, da richiedersi presso il consolato libico al Cairo, anche un invito, fatto da un’agenzia turistica libica. I motociclisti irlandesi ci pensano un po’ su, ma hanno ancora tempo per decidere, dal momento che devono ancora visitare tutto l’Egitto. Purtroppo hanno fretta, perché devono partire con il convoglio delle 7:30 per Luxor, così non possiamo continuare la conversazione, nostro malgrado. Sarebbe stato entusiasmante ascoltare il racconto del loro viaggio e la descrizione di tutti i paesi che avevano attraversato; a loro va comunque tutta la nostra stima e, anche, la nostra invidia, per avere la possibilità di realizzare un viaggio simile.
La mattina seguente andiamo a visitare i templi dell’isola Philae, che trovandosi per l’appunto su di un’isola, sono raggiungibili solo con le barche. Avvicinandoci all’isola, i templi appaiono 475.JPG nella loro imponenza e nel loro splendore. Furono edificati nei due secoli precedenti la nascita di Cristo dai Tolomei, e dagli imperatori romani dei primi tre secoli dopo Cristo. Numerose iscrizioni dimostrano che qui confluivano pellegrini greci e romani per rendere omaggio alla misteriosa, benigna e taumaturgica dea Iside. Sotto Giustiniano i templi vennero chiusi e alcune delle stanze adibite alle funzioni religiose cristiane. Fino alla costruzione della diga di Assuan, l’isola era considerata una delle località più belle dell’Egitto e attirava innumerevoli visitatori. Da quando i flutti del lago artificiale cominciarono a sommergerla per la maggior parte dell’anno, essa perse molto del suo fascino. I templi erano accessibili solo da agosto a dicembre, e per il resto dell’anno questi splendidi edifici stavano sott’acqua. Con la costruzione della Diga Alta minacciarono di rovinarsi del tutto. Nell’ambito dell’azione di salvataggio promossa dalle Nazione Unite per i monumenti nubiani, tra il 1972 e il 1980 l’isola venne prosciugata. Contemporaneamente, sulla vicina isola di Agilkia si preparò il terreno per accogliere i nuovi monumenti, dopodichè i templi, smontati in blocchi numerati, vennero trasportati nella nuova sede e nuovamente ricostruiti. Dei decenni di parziale inondazione è testimone il colore grigio delle mura e delle colonne nella parte inferiore. La vista di questi edifici grandiosi, 476.JPG ancora ben conservati, desta nel visitatore un’impressione duratura. L’accesso al recinto dei templi è costituito dal vestibolo di Nectanebo I, all’estremità sud dell’impianto. Da questo si entra nel lato di accesso, delimitato a nord dal primo pilone del tempio di Iside, 477.JPG a ovest e est da porticati. Le decorazioni delle colonne 478.JPG di questi porticati mostrano in gran parte l’imperatore Tiberio che porta doni agli dei. All’estremità nord del porticato, è ben conservato il tempio di Imhotep, eretto da Tolomeo II Filadelfo. Il tempio di Iside, 479.JPG il santuario maggiore del complesso, consacrato a Iside e a suo figlio Arpocrate, sorge probabilmente sul luogo di un tempio più antico. L’edificio fu iniziato da Tolomeo II Filadelfo e completato da Evergete I, tuttavia la decorazione a rilievi andò avanti per gradi, e in parte è rimasta incompiuta. Attraverso la porta centrale del primo pilone, 482.JPG all’interno della quale si legge la scritta francese “an 7 de la république”, che commemora la campagna di Napoleone, si entra nel cortile tra il primo e il secondo pilone. Tutte le pareti e le colonne sono interamente ricoperte da decorazioni 485.JPG e iscrizioni. Oltrepassato il secondo pilone 481.JPG si entra nel tempio di Iside propriamente detto. Tutte le pareti mostrano immagini dei Tolomei, (Filadelfo e Evergete II) e degli imperatori romani Tiberio, Augusto, Antonino. A nord ovest del secondo pilone si arriva alla Porta di Adriano, inserita nelle vecchie mura di cinta del tempio e costruita come un chiosco. Qui sono raffigurati Adriano, Marco Aurelio e Lucio Vero. A 50 metri dal tempio di Iside si trova il tempio di Hathor, eretto da Filometore ed Evergete II in onore di Hathor-Afrodite, e a sud est del tempio di Hathor si trova il Chiosco di Traiano, 487.JPG il più affascinante edificio 486.JPG dell’isola. Risale all’età imperiale romana, tuttavia è rimasto incompiuto.
Finita la visita pranziamo al New Cataract, poi facciamo le valigie e ci rechiamo al punto di ritrovo del convoglio che alle 14:00 parte per Luxor. Il convoglio parte puntuale, come sempre: a quest’ora è un caldo infernale, i caschi sono rigorosamente chiusi per difendersi dall’aria infuocata. Facciamo sosta a Esna 498.JPG per qualche minuto di riposo, 495.JPG poi ripartiamo. Alle 17:00 appaiono le inconfondibili montagne rocciose 496.JPG di Luxor, dopo aver percorso i 220 chilometri già fatti all’andata, e alle 18:00 parte il convoglio per Hurgada. Al punto di ritrovo del convoglio ci sono tantissimi grandi pullman, che portano i turisti dei viaggi organizzati che hanno finito le crociere sul Nilo verso il Mar Rosso; nell’ora di attesa della partenza del secondo convoglio, le nostre moto attirano l’attenzione di diversi turisti motociclisti (che la due ruote però l’hanno lasciata a casa), soprattutto un paio di tedeschi ed un inglese proprietario una Harley, che ci chiedono un sacco di notizie sul nostro viaggio. Il convoglio parte, gli autisti dei pullman sono particolarmente indisciplinati e si divertono a sorpassarsi l’uno con l’altro in continuazione, nonostante poi, una volta raggiunta la camionetta della polizia che apre il convoglio, non possano più procedere oltre. Stiamo ancora costeggiando il Nilo in direzione nord, per arrivare al bivio per Hurgada che si trova a Qena. Gianni è davanti a noi, ad un certo punto mette la freccia a destra ed accosta, poi scende dalla BMW, si toglie il casco e dice con candore: “Devo vomitare!” Dopodichè si accinge all’operazione dietro ad un cespuglio provvidenziale, mentre due bambini usciti da una casupola fatiscente 503.JPG lo osservano incuriositi, e mentre i militari di scorta, che si sono dovuti fermare, inveiscono impazienti. Il nostro compagno di viaggio, che stavolta ha fatto indigestione di pistacchi, evidentemente ha questa innata predisposizione ai malesseri associati agli spostamenti in convoglio. Ripartiamo, scendono le ombre della sera, e la strada prosegue ora tra le dune del deserto. Sotto un cielo brillante di stelle arriviamo a Hurgada, dopo un tragitto di 300 chilometri. Andiamo ad alloggiare all’Hotel Hilton Plaza, una grande struttura bianca affacciata sul mare; dalla spaziosa terrazza della nostra stanza c’è un panorama bellissimo sulla spiaggia notturna, illuminata dalle luci dei locali e dai lampioni dei viali del giardino sottostante. Andiamo a dormire presto, perché siamo piuttosto stanchi. Il giorno seguente ci appare in tutta la sua bellezza il panorama 504.JPG antistante 505.JPG al nostro albergo; oggi ci riposiamo dalle fatiche di questo splendido viaggio andando a fare “snorkeling” 516a.jpg sulla barriera corallina, 516b.jpg e sguazzando nella bellissima piscina 515.JPG dell’hotel.
La mattina dopo però siamo nuovamente in sella, per iniziare il viaggio di ritorno. Il tragitto è breve, infatti andiamo al porto di Hurgada e ci imbarchiamo 516g.JPG su di una nave turbo che in 2 ore ci porterà a Sharm El Sheik; prima di salire sulla nave, dobbiamo sottostare ad infiniti controlli di sicurezza, smontando i bauletti della moto per passarli nel metal detector. A me fanno pure aprire la valigia, che è ormai stipata, perchè i poliziotti molto zelanti sono stati insospettiti da una statuetta di Horus. Carichiamo le moto sulla nave, che non è molto grande ma è lunga ed affusolata; il garage è piccolissimo, può ospitare al massimo una decina di auto: salgono solo 2 automobili, oltre alle nostre 2 moto, che vengono legate accuratamente 516i.JPG con grosse cinghie fissate in tensione a ganci metallici sul pavimento. La cosa ci fa prevedere che su questo tratto, cioè la punta meridionale della penisola del Sinai, il Mar Rosso sia spesso agitato, proprio come in questo momento; infatti, quando la nave parte, ben presto si inizia a saltare. Sono 2 ore di sofferenza, le onde sono molto alte e arrivano a bagnare i finestrini del piano superiore della nave; molte persone stanno male, me compresa. Finalmente il mare si calma, perché abbiamo imboccato il tratto più stretto che separa il Sinai dall’Arabia Saudita, e quando arriviamo al porto di Sharm è liscio come l’olio. Scendiamo dalla nave 516l.JPG e percorriamo i 200 chilometri 517.JPG che separano Sharm El Sheik da Nuweiba, attraverso 526a.JPG splendidi panorami 519.JPG desertici di rocce e dune 526c.JPG. Arrivati a Nuweiba, 540a.JPG espletiamo le solite lunghe formalità doganali; per lo meno ci proviamo perché, visto che stavolta non abbiamo incontrato il poliziotto dell’andata, tentiamo di capirci qualcosa da soli. In realtà, senza l’aiuto di qualcuno che parli l’arabo, la cosa si sta facendo difficile, perché non ci sono cartelli scritti in inglese e molti degli impiegati parlano solo la loro lingua. Tra l’altro, abbiamo già acquistato i biglietti della nave che ci porterà ad Aqaba (memori dell’esperienza del viaggio di andata, questa volta ci imbarcheremo sulla veloce “Princesse” della Arabe Bridge Marittime Company), che dovrebbe partire alle 15:00, e sono già le 14:30; di questo passo, rischiamo di perdere la nave. Fortunatamente ci sono in servizio anche oggi due agenti della Polizia Turistica, che evidentemente notano il nostro correre da uno sportello all’altro, si avvicinano e ci danno una mano. Col loro aiuto riusciamo a finire il tutto per le 15:00, e ci avviamo verso la nostra nave. 540b.JPG Scopriamo che non c’era in realtà molta fretta, perché essa parte alle 17:00 (da queste parti gli orari sono sempre approssimativi); ci sediamo all’ombra, attendendo l’imbarco. Finalmente possiamo far salire le nostre moto, e la nave parte alla volta della Giordania. Il viaggio è molto più tranquillo rispetto al precedente, il Mar Rosso qui sembra una lastra di vetro. In un’ora arriviamo ad Aqaba, però l’operazione di sbarco è rallentata notevolmente dal personale della nave, che cercando di agevolare il defluire dei passeggeri, crea solo confusione. Finalmente riusciamo a scendere, 541.JPG quando ormai sta facendo sera. Perdiamo come di consueto circa un’ora e mezza in pratiche doganali, poi andiamo a dormire all’hotel Acquamarina II, dove eravamo stati all’andata. Il mattino dopo partiamo, attraversiamo tutta la Giordania, facciamo frontiera con la Siria e nel pomeriggio arriviamo a Damasco, dopo una tappa di 580 chilometri. Pernottiamo all’hotel Damascus International, dove andiamo sempre; ormai ci conoscono, e ci fanno calorosi saluti. Ci riposiamo brevemente poi facciamo quattro passi fino alla bellissima Moschea degli Omaiadi; 547.JPG è sempre uno spettacolo unico 554.JPG questa superba moschea, che in termini di splendore decorativo 559.JPG e architettonico può essere paragonata solo alla Cupola della Roccia di Gerusalemme, mentre per sacralità è seconda solamente alle sacre moschee di Mecca e Medina. Entrando dal portone principale, al quale si accede passando tra resti di edifici romani, si apre un bellissimo cortile pavimentato in marmo bianco, contornato da un elegante colonnato; l’illuminazione notturna fa apparire il marmo come uno specchio d’acqua, 552.JPG sul quale si riflettono le colonne e mosaici dorati della facciata. L’effetto dei fari di vari colori 543.JPG e del marmo lucido è incredibilmente suggestivo. 557.JPG Accedendo all’interno della moschea, si rimane abbagliati dall’eleganza e dalla ricchezza delle decorazioni. Al centro, dentro una struttura marmorea con una cupola verde e vetrate verdi, si trova la tomba di san Giovanni Battista, 560.JPG che per i musulmani è il profeta Yehia; secondo la tradizione, durante la costruzione della moschea venne rinvenuto un cofanetto sepolto sotto il pavimento di una vecchia basilica, in cui era contenuta la testa del santo, con la pelle e i capelli ancora intatti, resti che oggi si trovano all’interno della tomba.
Usciti dalla moschea e tornando verso l’hotel, ci fermiamo in un negozietto che vende caffé, e acquistiamo un sacchetto di miscela mista a cardamomo in polvere, tradizionale bevanda siriana e giordana. Di fianco a questo negozio ce n’è un altro, che vende un po’ di tutto: vediamo esposte alcune bandiere, tra le quali quella gialla e verde di Hezbollah, divenuta parecchio famosa negli ultimi tempi. Non possiamo resistere alla tentazione di comprarla, da portare a casa come curiosità. Andiamo a cena in un ristorante di nostra conoscenza, l’Abou Kamal; si tratta di un locale molto rinomato, lussuoso, dove con la modica cifra di circa 10 € mangiamo a sazietà ogni ben di Dio tra le specialità della cucina siriana.
Il giorno dopo partiamo da Damasco per Aleppo, che dista 375 chilometri; arriviamo nel primo pomeriggio in questa affascinante città, e prendiamo due stanze all’Hotel Baron, 568.JPG come lo scorso anno. Qui soggiornarono Lawrence d’Arabia, Winston Churchill, Agata Cristie, Theodore Roosvelt: vi sono ancora i registri dell’epoca con le loro firme, e un impiegato ci mostra orgoglioso la stanza, molto semplice, dove il colonnello britannico dormiva, poi quella più elegante preferita da Agata Cristie.
Nel pomeriggio andiamo a fare una passeggiata nel centro storico di Aleppo, indicata dagli studiosi come il più antico insediamento umano al mondo. Nel corso dei secoli ha subito devastanti terremoti e occupazioni dei più svariati eserciti, dai Romani ai Persiani, dai Bizantini ai Crociati e infine ai Turchi Ottomani. I segni della sua lunghissima storia sono tangibili ovunque. La parte più suggestiva è la città vecchia, il cui nucleo è costituito dalle vie che formano il famoso suq; all’estremità orientale del suq, su una elevata altura, sorge la potente struttura difensiva della Cittadella, 563.JPG edificio imponente sia dall’esterno che dall’interno. La struttura visibile attualmente 564.JPG risale all’epoca crociata e Mamelucca. Per finire la giornata andiamo a fare shopping al suq. Non è vasto come Khan El Kalili al Cairo o sontuoso come Kapali Carsi a Istanbul, ma senza ombra di dubbio è il più caratteristico 565.JPG dell’intero Medio Oriente. Qui tutti vengono a fare acquisti, e si trova veramente ogni genere di oggetto; dagli articoli casalinghi, ai gioielli, alle scarpe, agli abiti, alle spezie, ai generi alimentari. Il suq è in gran parte una creazione di epoca ottomana; addentrandosi negli strettissimi e bui vicoli, 566.JPG bisogna fare attenzione a non essere investiti dai somarelli carichi delle più varie mercanzie. Acquistiamo stoffe lavorate, bellissime, tipiche di questo paese, poi qualche gioiellino in argento, pietre dure e un pentolino in ottone per il caffè.
La sera si cena in un ristorante tipico, Al Kommeh Restaurant, che si trova su una terrazza con vista sulla città illuminata. Il giorno dopo lasciamo Aleppo, facciamo frontiera con la Turchia a Salami (che i Turchi chiamano Kilis) anziché a Bab El Hawa, per risparmiare 200 chilometri e arrivare a Katha, nel Kurdistan turco, ai piedi del Nemrut Dagi, 571.JPG percorrendo solamente 350 chilometri. Ci fermiamo all’Hotel Zeus, scarichiamo le moto, facciamo un breve bagno nella grande piscina poi saliamo alla vetta del monte, per vedere le statue colossali 572.JPG che ornano il tumulo funerario di Antioco I di Commagene illuminate dalla luce del tramonto. Ci sono due strade che portano alla vetta, una corta ed una più lunga ma maggiormente panoramica. La nostra intenzione è di prendere quella più corta, ma SuperQuark sbaglia strada, quindi ci troviamo ben presto a percorrere ripidi e stretti sentieri sterrati, con profondi strapiombi a fianco e splendidi e selvaggi panorami. 570.JPG Non ci sono più indicazioni, e pensiamo di esserci persi. 589.JPG Nel frattempo il sole sta calando, rischiamo di non vedere il tramonto ed arrivare col buio al tumulo di Antioco. Valutiamo anche la possibilità di tornare indietro, però poi decidiamo di provare a proseguire ancora, e fortunatamente un po’ più avanti il sentiero finisce nella strada di ciottoli che costituisce l’ultimo tratto prima della cima. Proseguiamo sull’acciottolato, che è veramente molto sconnesso, e finalmente arriviamo alla nostra meta. Parcheggiamo le moto, e la salita riprende a piedi, lungo un sentiero sassoso estremamente ripido; comincia ad imbrunire, e arranchiamo a fatica lungo il fianco della montagna. Senza più fiato arriviamo finalmente alla vetta. Il Nemrut Dagi, un rilievo appartenente al gruppo del Tauro, con i suoi 2150 metri è il più alto della Mesopotamia settentrionale. Sulla sua sommità si erge la tomba santuario del re Antioco I, riportata alla luce nel corso di scavi effettuati dalla American School of Oriental Researches nel 1953. Si compone di un tumulo di pietra frantumata, di 150 metri di diametro per un'altezza di 50 metri. Alla base tre terrazze: terrazza nord, terrazza ovest e terrazza est, formano il santuario; altari e statue gigantesche 573.JPG creano uno scenario toccante che coglie il suo apice alla luce dell'alba e al tramonto del sole. Data la sua ardua locazione, la natura ha prevalso sull'uomo e con fulmini, terremoti e lo stesso trascorrere del tempo, le statue sono state decapitate e le teste 577.JPG sistemate intorno all'incredibile tumulo. Il luogo della sepoltura, nonostante diversi tentativi, è ancora da scoprire. La terrazza nord fungeva da punto di raccolta dei pellegrini che salivano dalle diverse strade esistenti sui fianchi della montagna; statue colossali di un leone e di un'aquila ornavano l'entrata: non rimane nulla essendo la più rovinata delle tre terrazze. Sulla terrazza ovest 576.JPG si trovano cinque statue colossali di personaggi seduti alte 9 metri; ora le teste giacciono sparse ai loro piedi, e raffigurano: Antioco I, la dea Tyche, Zeus-Oromasde (il padre degli dei per Greci e Romani), Apollo-Mithra-Helios-Ermes ed Eracle-Artagnes-Marte. A chiudere le due estremità il leone e l'aquila, simboli della dinastia di Commagene. Una lastra raffigura il cosiddetto "leone astrale" considerato uno dei più antichi oroscopi del mondo; la sua interpretazione è ancora dubbia: chi pensa alla data della salita al trono di Antioco I, chi al suo compleanno o alla fondazione del sito, di certo indica il 7 luglio del 62 o 61 a.C. La terrazza est 578.JPG presenta statue acefale, simili a quelle della terrazza ovest, ma la loro locazione è diversa; una scalinata monumentale porta agli altari, due scalinate laterali portano alle divinità poste sopra gli altari. Perfettamente conservati i personaggi seduti, ma le teste delle statue sono in pessime condizioni; di un grande altare posto di fronte rimane il basamento perfettamente visibile. Dietro alle basi delle statue, numerate con lettere romane, il testo in greco del pensiero di Antioco I: la volontà di essere qui sepolto e i riti da eseguire in suo onore. Scendiamo dal Nemrut Dagi al buio pesto, ma stavolta troviamo la strada breve e in un’ora riusciamo a rientrare in albergo. Il giorno dopo, con una tappa di 768 chilometri, arriviamo in Cappadocia, a Göreme. Attraversando la città di Kayseri, rischiamo di volare in terra, perché SuperQuark è costretto ad una “inchiodata” da un camion sprovvisto delle luci dei freni, che si blocca improvvisamente per evitare un’auto che gli taglia la strada. È veramente un miracolo se rimaniamo in piedi, Enzo riesce a rimettere dritta la moto col piede sinistro, procurandosi solamente un indolenzimento momentaneo alla caviglia. Le ruote sono graffiate fino ai cerchioni.
Un labirinto di torri, crepacci, canyon, pinnacoli e castelli rupestri: è un paesaggio fiabesco 582.JPG quello che si presenta agli occhi di chi raggiunge la Cappadocia, la magica regione creata dal corrugamento della superficie terrestre nel bel mezzo di un altopiano a 1000 metri d'altitudine, nell'Anatolia centrale, risultato della paziente opera, durata qualche milione di anni, del vento e delle piogge, complici due vulcani assopiti da tempo. Dapprima rifugio di anacoreti ed eremiti cristiani, poi di intere popolazioni che scavarono le loro abitazioni nel tufo, la zona si è trasformata in epoca bizantina in uno straordinario universo rupestre. La più popolata era la valle di Göreme, 585.JPG dove sono state censite 365 chiese, alcune delle quali splendidamente affrescate. C'erano anche una decina di misteriose città sotterranee: Derinkuyu è la più grande, nove piani sovrapposti sotto il livello del suolo, in cui ci si rifugiava in caso di incursioni nemiche. Il Parco Nazionale di Göreme, già conosciuta al tempo dei romani con il nome di Cappadocia, è uno di quei rari luoghi al mondo nei quali l'opera dell'uomo si mescola sapientemente al paesaggio circostante. Delle abitazioni vennero scavate in questa roccia 583.JPG a partire dal 4000 a.C. Ai tempi di Bisanzio, anche cappelle e monasteri vennero realizzati nello stesso modo; i loro affreschi, con toni ocra, riflettono i colori del paesaggio circostante. Ancora oggi si vedono emergere armonicamente nel paesaggio abitazioni scavate nei coni di roccia e villaggi di tufo vulcanico. Il Museo all'aria aperta di Göreme, un complesso monastico di chiese e cappelle rupestri tappezzate di affreschi, è uno dei siti più famosi della Turchia. La maggior parte delle cappelle sono datate dal X al XIII secolo, periodo bizantino e selgiuchide. Nelle navate laterali di molte chiese ci sono delle tombe rupestri. La città stessa di Göreme (Avcilar) è situata in una valle piena di coni e camini di fate. Si Possono vedere caffé, pensioni e ristoranti scavati nella roccia. 584.JPG È appunto in una di queste pensioni ricavate dalle grotte di tufo che scegliamo di pernottare, la “Arif Pension Motel”. Dall’alto della terrazza della pensione si apre una vista splendida sulla valle di Göreme e i suoi pinnacoli, che con le luci accese all’interno 579.JPG e le ombre rosate della sera, offrono uno spettacolo veramente suggestivo. Andiamo a cenare in uno dei tanti ristoranti della cittadina; Göreme è piena di turisti, e incontriamo anche due Africa Twin, parcheggiate davanti ad una taverna. Il mattino dopo ripartiamo 588.JPG di buona lena, e dopo aver percorso 800 chilometri, arriviamo ad Istanbul; passando sul ponte sospeso “Atatürk” incontriamo il cartello “Benvenuti in Europa”, e ci fa ricordare che, a cavallo delle nostre moto, veniamo veramente da molto, molto lontano. Ad Istanbul ci fermiamo, per un degno finale di questo viaggio spettacolare. Andiamo all’Hotel Kalyon, lo stesso dove siamo stati io e Enzo nel nostro breve viaggio in giugno e dove abbiamo pernottato molte altre volte. Il terrazzo della nostra stanza si affaccia sul Bosforo, e a due passi da noi si trova il centro storico della città. Dopo esserci resi presentabili (alla fine dei nostri viaggi i nostri abiti da moto sono realmente vergognosi) andiamo a passeggiare tra la Moschea Blu 594.JPG e Santa Sofia, 592.JPG splendide nell’illuminazione notturna. Ceniamo in un locale tipico all’aperto, proprio dietro la Moschea Blu, 593.JPG con musica dal vivo e un giovane derviscio che si esibisce nella tipica danza rotante. Andiamo a dormire, e il mattino seguente partiamo alla volta del confine con la Grecia. Questa volta in frontiera non c’è nessuno, anche perché è il 14 agosto, un giorno nel quale la maggior parte delle persone si trova nelle località di vacanza; ce la caviamo in mezz’ora, ripartiamo ed arriviamo a Kozani, dopo una tappa di 760 chilometri, dove termina la nuova superstrada, ancora in costruzione, che permetterà, una volta ultimata, di attraversare velocemente tutta la Grecia del nord evitando i lunghi tratti di montagna. A Kozani andiamo all’hotel Nefeli, già di nostra conoscenza. Kozani è un grazioso paese che si trova in una zona collinare tranquilla; a cena andiamo da “Costas”, un ristorante molto rinomato nella zona dove si mangia benissimo spendendo poco, poi andiamo a dormire. Il giorno seguente, il 15 agosto, partiamo per la nostra ultima tappa, di circa 300 chilometri, verso Igoumenitza e l’imbarco. A pranzo ci fermiamo lungo un tratto di montagna, in un ristorante caratteristico, che si trova lungo il corso di un fiume 595.JPG dove i greci vanno a fare rafting; ordiniamo pesce e carne ai ferri, ma mentre ci accingiamo a mangiare veniamo avvisati da alcuni greci che la nostra Africa Twin è caduta. Corriamo immediatamente a vedere: la moto è completamente rovesciata all’ingiù dentro ad un fosso, e i greci ci spiegano che un’auto, facendo retromarcia, l’ha fatta cadere poi se ne è andata subito, senza fermarsi. Enzo e Gianni, aiutati dai greci presenti, la raddrizzano e la tirano fuori dal fosso: i danni alla moto sono in realtà scarsi, si è rotto lo specchietto destro e c’è una piccola crepa sul cupolino, il cui telaio si è leggermente piegato. Il vero danno è che si sono rotti tre dei cinque vasi di alabastro comprati alla Valle dei Re, che erano stati per tutto il viaggio accuratamente legati sul bauletto posteriore, scaricati e ricaricati delicatamente ogni giorno. È un vero peccato, al di là del danno materiale, soprattutto perché erano il ricordo di un viaggio veramente unico. I greci presenti chiamano la polizia locale, alla quale facciamo la denuncia dell’accaduto nella speranza di avere un risarcimento dall’assicurazione dell’automobilista pirata, anche se su ciò abbiamo molti dubbi. Il tempo perso con polizia ci fa temere di perdere la nave, quindi ripartiamo a spron battuto. Arriviamo a Igoumenitza alle 19:00, e la nostra nave, che deve ancora arrivare, parte alle 20:00, quindi troviamo anche il tempo di fare foto alle moto addobbate con la bandiera di Hezbollah. 569.JPG Quando la Superfast XII arriva in porto, dobbiamo salutare Gianni e Veronica; i saluti al termine di questi viaggi sono sempre particolarmente toccanti, anche perché, data la lontananza geografica, con loro è piuttosto difficile riuscire ad incontrarsi durante il resto dell’anno. Imbarchiamo la moto nel vasto garage della nave e andiamo in cabina per la meritata doccia. La nostra avventura è terminata anche quest’anno, e senza paura di sbagliare posso dire che questo è stato il viaggio in assoluto più bello di quelli fatti finora. Prima della partenza avevamo alcune perplessità, e non sapevamo se tutto sarebbe filato così liscio, come invece è successo. Adesso che il sogno è finito, l’Egitto con le sue meraviglie ci sembra già tanto lontano, sia nello spazio che nel tempo; ma questo è un viaggio che sicuramente varrà la pena di ripetere, prima o poi….


APPUNTI DI VIAGGIO
KM. PERCORSI 11.014
ASPETTI POSITIVI
- l’Egitto possiede i deserti più belli al mondo, il mare più bello al mondo, il patrimonio archeologico più ricco al mondo….ho già detto tutto
- Estrema disponibilità, gentilezza e ospitalità delle persone
- Basso costo della vita

ASPETTI NEGATIVI
- In luglio e agosto le temperature sono infernali: al Cairo 40° con un alto tasso di umidità, nell’Alto Egitto arrivano intorno ai 55°, anche se l’umidità è scarsissima (18%)
RICAMBI AL SEGUITO:

- pompa della benzina
- filo frizione
- lampadine
- pedane
- leve freno e frizione
- olio x rabbocco
- kit antiforatura (bombolette+3 leve+manometro)
- camere d’aria rinforzate
- cacciaviti e chiavi varie
- fascette plastica
- filo di ferro
- nastro americano e nastro isolante
- lampada 12 volt
- torcia elettrica

INCONVENIENTI OCCORSI

- caduta della nostra Africa Twin parcheggiata causa urto di un’automobile, con rottura di specchietto destro, piccola crepa del cupolino, rottura di alcuni souvenir

Il viaggio in breve

22/07/06 Bologna – Ancona – 200 km: imbarco su traghetto Superfast V, partenza ore 13:30
23/07/06 Igoumenitza (Grecia) sbarco ore 05:00, arrivo a Tekirgdag (Turchia) 940 km
24/07/06 Tekirgdag (Turchia) – Ulukisla (Turchia) 960 km
25/07/06 Ulukisla (Turchia) – Mar Morto (Giordania) 1040 km
26/07/06 Mar Morto (Giordania) – Aqaba (Giordania) 350 km
27/07/06 Aqaba (Giordania) imbarco su traghetto “Pella” (Arab Bridge Marittime Company) ore 17:00 – ore 21:00 sbarco a Nuweiba (Egitto)
28/07/06 Nuweiba (Egitto) – sosta a S.Caterina – Cairo (Egitto) 600 km
29/07/06 Cairo (Egitto): Museo Archeologico, Moschea di Mohammed Ali, Moschea - Madrasa del Sultano Hassan, Città dei Morti, Cairo Copto
30/07/06 Cairo (Egitto): Saqqara (piramide a gradoni), Dashur (piramide rossa, piramide romboidale), Menfi (sfinge di alabastro, colosso di Ramses II°) 36 km + 36 km
31/07/06 Cairo (Egitto): piramide di Meidum, Oasi di El Fayoum – 80 km + 80 km
01/08/06 Cairo (Egitto) – Luxor (Egitto) – 699 km
02/08/06 Luxor (Egitto): valle dei Re, tempio di Medinet Habu, tempio di Hatchepsut, Ramesseum, tempio di Luxor, tempio di Karnak – 30 km
03/08/06 Luxor (Egitto): tempio di Abydos – 50 km andata + 50 km ritorno, tempio di Dendera – 160 km andata + 160 km ritorno (con convoglio militare, partenza ore 07:00)
04/08/06 Luxor (Egitto) – Assuan (Egitto): sosta al tempio di Edfu e al tempio di Kom Ombo – 220 km (con convoglio militare, partenza ore 07:00)
05/08/06 Assuan (Egitto): tempio di Abu Simbel – 275 km andata + 275 km ritorno (con convoglio militare, partenza ore 04:00, ritorno ore 10:00), pomeriggio visita Grande Diga, cave di granito, isola di Kitchener – 10 km andata + 10 km ritorno
06/08/06 Assuan (Egitto): tempio di Philae, partenza per Luxor (Egitto) (con convoglio militare, partenza ore 14:00), da Luxor partenza per Hurgada (Egitto) (con convoglio militare, partenza ore 18:00) – 520 km
07/08/06 Hurgada (Egitto)
08/08/06 Hurgada (Egitto) partenza con turbo nave ore 08:00 – arrivo a Sharm El Sheik (Egitto) ore 10:00 – partenza via terra per Nuweiba (Egitto), arrivo a Nuweiba – 200 km – partenza con turbo nave “Princess” (Arab Bridge Marittime Company) ore 17:00, arrivo ad Aqaba (Giordania) ore 18:00
09/08/06 Aqaba (Giordania) – Damasco (Siria) visita Moschea degli Omaiadi – 580 km
10/08/06 Damasco (Siria) – Aleppo (Siria) 375 km
11/08/06 Aleppo (Siria) - Nemrut Dagi (Turchia) – 350 km
12/08/06 Nemrut Dagi (Turchia) – Cappadocia (Turchia) 768 km
13/08/06 Cappadocia (Turchia) – Istanbul (Turchia) visita della Moschea Blu e Santa Sofia – 800 km
14/08/06 Istanbul (Turchia) – Kozani (Grecia) – 760 km
15/08/06 Kozani (Grecia) – Igoumenitza (Grecia) – 300 km – imbarco si traghetto Superfast, partenza ore 20:00
16/08/06 arrivo ad Ancona ore 10:00