iSTAMBUL 2006    

Fine maggio 2006. Abbiamo una settimana di ferie, e io e Superquark decidiamo di andare qualche giorno a Istanbul, con tutte e due le moto.
Faccio fare un bel tagliando alla mia vecchia 03 e sono pronta a partire. Mi incontro con Egon qualche giorno prima della partenza: mi deve prestare un po’ di accessori utili in caso di guasti: pompa della benzina, centraline, cuscinetti. Naturalmente il pignolo non perde l’occasione per trovare mille imperfezioni alla mia vecchia: dopo che mi ha stordito con termini tecnici dei quali ho capito si e no la metà, me ne torno a casa nel più grigio sconforto. Però, per rincuorarmi, penso che se per saper andare a cavallo non è necessario essere veterinari, per fare un viaggetto in moto non è necessario essere meccanici!! Speriamo nella buona fortuna e soprattutto nelle capacità di Tazio, che verrà con noi!
Io, nel frattempo, mi ero comprata anche una coppia di camere d’aria rinforzate, del tipo di quelle usate in fuoristrada (che come vedremo mi saranno MOLTO utili), il filo della frizione e un set di lampadine. Superquark nella sua 07 ha poi molti attrezzi utili, come il kit antiforature, nastro isolante di varie misure, colla, fascette, ed altro.
Partiamo, in una bella mattinata di sole di sabato 26 maggio. Sono un po’ perplessa perché non so se riuscirò a guidare per tanti chilometri senza stancarmi troppo e se riuscirò a sopravvivere al traffico infernale di Istanbul, ma finche non ci provo non posso saperlo.
Arrivati in autostrada, all’altezza dell’area di servizio di Castel San Pietro, dove dobbiamo incontrarci con Tazio, la mia moto inizia improvvisamente a sbandare: sul momento non mi rendo conto di cosa sta succedendo, cerco solo di tenerla in piedi e di accostarmi alla corsia di emergenza. Ci arrivo con la moto traballante, intuendo l’accaduto, mi fermo, scendo (è diventata stranamente bassa!) e haimè il sospetto si tramuta in realtà: la gomma anteriore è a terra. Enzo, che era davanti a me, arriva a constatare il malestro; mentre fissiamo costernati la gomma spiaccicata, una moto arriva e si ferma dietro alla mia: sono arrivati Tazio e Graziella, tutti allegri e sorridenti per l’imminente vacanza. Vedendo le nostre facce, repentinamente cambiano espressione! Porto la 03 pian piano fin dentro l’area di servizio, seguita dagli altri: troviamo un posto parzialmente ombreggiato e ci apprestiamo all’operazione di sostituzione della camera d’aria , che fortunatamente ho portato con me di scorta. Meno male che c’è Tazio: la vecchia viene messa a cavallo del marciapiede di un’aiuola (non avendo cavalletto centrale, è necessario posizionarla in modo da poter lasciare la ruota anteriore sollevata da terra). Mentre i maschietti lavorano, io guardo con apprensione l’orologio: abbiamo ancora tempo per arrivare ad Ancona e prendere la nostra nave, ma bisogna muoversi. Nel giro di una ventina di minuti, l’operazione viene svolta con successo: una controllata alla pressione, rifornimento di benzina e si riparte.
Durante il tragitto, mi accorgo di avere senso di nausea e vertigine (cosa parecchio spiacevole se si deve guidare un qualsiasi veicolo) simile a quello che si prova col mal d’auto o il mal di mare, ma pensando di avere ancora i postumi di una leggera influenza appena passata, attribuisco a ciò il mio malessere. Arrivati a porto di Ancona, parcheggiamo le moto e ci accingiamo a fare i biglietti: Superquark mi dice di prendere passaporto e libretto di circolazione, e in quel momento una spiacevolissima sensazione, come una lampadina di allarme, si impadronisce di me: mi si presenta la visione di Flavia in garage, ieri sera, che stacca il bauletto posteriore usato abitualmente per sostituirlo con uno più spazioso, e la visione prosegue col libretto di circolazione che rimane chiuso nel bauletto piccolo, a casa. Si può immaginare la faccia di Superquark quando gli comunica la ferale notizia, per non parlare dei misurati improperi, stile “goccia cinese”, che proferisce a ritmo continuo. In ogni caso, intanto facciamo i biglietti:
non abbiamo prenotato la cabina sul traghetto, anche perché siamo in bassa stagione e, grazie alle esperienze fatte nei viaggi passati, in questo periodo le navi sono semivuote. Tanto per dimostrare che le “sfighe” non vengono mai sole, non ci sono più posti disponibili, anche per via del fatto che, a causa della mia foratura, siamo arrivati tardi.
Questo viaggio sta iniziando decisamente sotto una cattiva stella, ma noi non ci perdiamo certamente d’animo…insistendo con la signorina della biglietteria, riusciamo a farci dare due cabine riservate a disabili: costano più di quelle normali, ma sono spaziosissime, con due grandi finestre e televisione. Almeno la traversata verso la Grecia è assicurata.
Allineiamo le moto in attesa dell’imbarco . Ci fanno salire per ultimi, ma è meglio così…saremo i primi a scendere.
Il traghetto Superfast XII parte puntuale, alle 13,30. Appena giunta in cabina, telefono a mio padre e gli spiego la vicenda del libretto dimenticato: gli chiedo di andare a prenderlo e spedirlo via fax, insieme alla copia della carta verde, all’ufficio della compagnia marittima Superfast, con la quale stiamo navigando, a Igoumenitza, dove andrò a ritirarlo appena sbarcati. Una speranza in più di passare la frontiera turca. Dopo la meritata doccia, passeggiamo esplorando la nave, in attesa dell’ora di cena. Mangiamo al self-service, ricco di specialità della cucina greca, poi ci attardiamo sorseggiando un “frappè”, ovvero un ottimo caffè shakerato, con zucchero e latte.
Per quanto riguarda il problema dei miei documenti, decidiamo di andare alla polizia greca e fare denuncia di smarrimento, per avere qualcosa in più da presentare alla frontiera turca, nella speranza che mi lascino passare con la mia moto. In caso contrario, ho deciso che la lascerà parcheggiata al posto di frontiera e salirò da passeggero con Superquark: non ho nessuna intenzione di rovinare la vacanza a me e ai compagni di viaggio, a causa di questa dimenticanza. Il sole tramonta nel mare, creando sorprendenti effetti di luce sull’acqua.
Il mattino seguente ci svegliamo alle 5.00 (ora greca, quindi le 4.00 ora italiana) per sbarcare a Igoumenitza. Scarichiamo le moto dal traghetto, e ci apprestiamo al recupero del fax: haimè, l’ufficio apre alle 10.00, e ciò vuol dire ritardo di 4 ore sulla tabella di marcia odierna, dove avevamo previsto di percorrere circa 600 chilometri per arrivare a pernottare a Kavala, 140 chilometri dal confine turco.
Per ingannare la lunga attesa, io e Superquark andiamo all’ufficio della polizia portuale, e cerchiamo di spiegare in inglese alquanto approssimativo di aver perso il libretto della moto. Mentre stiamo elucubrando sui termini anglofoni più appropriati al caso, e mentre Superquark continua a snocciolare brontolamenti sulla mia sbadataggine, elencando tutti i documenti da non lasciare mai a casa, mi si accende la seconda lampadina di allarme: al nominare la patente di guida…mi accorgo del secondo clamoroso errore: sempre la maledetta sera precedente la partenza, all’ultimo momento ho cambiato portafogli, lasciando quindi la patente a casa, in Italia. Questo viaggio proprio non vuol prendere una piega favorevole!!!! Non oso dire a Superquark anche questo non trascurabile particolare, ma vi sono costretta, anche perché lui parla inglese meglio di me e dovrà spiegare l’accaduto al poliziotto greco. Vi lascio immaginare la reazione…sembra una candid-camera. Tralascio particolari noiosi sulla sequela di improperi che seguono alla mia confessione…ma in fin dei conti non tutti i mali vengono per nuocere: al ritorno avrò di che far divertire gli amici!
Il poliziotto di servizio, gentilissimo, ci rilascia una dichiarazione scritta (in greco, naturalmente) che presenteremo alla frontiera turca insieme alla copia fax del libretto, con risultati comunque imprevedibili. Nell’attesa dell’apertura dell’ufficio, ci rimpinziamo di dolcetti acquistati, per abbattere lo sconforto, nei negozi della stazione marittima. Io invece, come passatempo, mi dedico al bricolage e, per la gioia di Egon che mi ha aspramente criticata, raddrizzo le cuffie a soffietto in gomma blu che coprono gli steli della forcella (originali Honda, costate una cifra esorbitante e maldestramente montante un po’ storte dal meccanico).
Finalmente arrivano le 10.00, l’ufficio della Superfast apre i battenti e l’impiegata mi consegna il mio fax; rapidamente ci vestiamo e partiamo in direzione nord-est. Il tempo è bellissimo, il sole molto caldo, nessuna nuvola all’orizzonte. La strada, tutta curve, si snoda attraverso la catena montuosa del Pindo, nella regione dell’Epiro, e dal punto di vista panoramico è bellissima. Viaggiando mi accorgo di avere ancora senso di nausea e vertigine: ciò è molto strano, guidando, ma ho l’impressione che il problema potrebbe essere causato, oltre che dalle curve della strada, anche dalle vibrazioni del motore, al quale sono più vicina del normale in quanto la mia sella è stata scavata per permettermi di toccare terra più comodamente. Mi fermo per indossare i bracciali contro il mal di mare, sperando in un miglioramento del malessere: così è, infatti, e posso continuare il viaggio più tranquillamente. Pranziamo in una semplice taverna in un paesino di montagna e proseguiamo, fermandoci solo per i rifornimenti di benzina. Dopo Salonicco la strada di montagna si immette in una nuova e scorrevole superstrada, semideserta. Nel tardo pomeriggio, usciti dalla superstrada, ci fermiamo a riposare e a bere caffè greco e frappè in un grazioso chiosco sulle rive di un lago, a circa 120 chilometri da Kavala. Stanno scendendo le luci della sera, ma decidiamo di proseguire per recuperare il ritardo accumulato a Igoumenitza. Arriviamo a Kavala alle 22.00, e fa già buio. Siamo stanchi, oltre che per i chilometri percorsi anche per il poco sonno della notte precedente; troviamo un hotel sul porticciolo , e dalla terrazza della nostra camera c’è anche una bella vista sul castello medievale. La tappa di oggi è stata di 580 chilometri.
Scarichiamo le moto e dopo la doccia di rito andiamo a mangiare qualcosa in un ristorantino vicino al nostro hotel. Gustiamo un’ottima cena a base di pesce, con la modica spesa di 10 € a testa. Andiamo a dormire, e il mattino seguente ci svegliamo di buon ora; liberiamo le tre Afriche legate assieme come salsicciotti e lasciamo la ridente cittadina di Kavala , ripartendo verso il confine turco. La superstrada ci porta comodamente fino alla frontiera con la Turchia, dove siamo gli unici viandanti. Al primo sportello ci fanno passare dando solo un’occhiata distratta alle mie fotocopie, al secondo invece chiedono i documenti originali: cerchiamo di fargli capire che li abbiamo persi, ma il funzionario parla solo turco ed è perplesso. Ci fa cenno di seguirlo, si reca nell’ufficio dell’ispettore doganale e gli chiede lumi; per fortuna l’ispettore è bendisposto, dà un’occhiata veloce alla denuncia scritta in greco e alle copie del libretto, poi ci rilascia il documento di importazione temporanea e ci fa proseguire. Oltrepassiamo indenni anche il terzo sportello, dove registrano le targhe delle moto, e siamo in territorio turco. Partiamo quindi alla volta di Istanbul; la strada è tutta diritta, l’asfalto brutto, il traffico moderato. È ormai ora di pranzo, e troviamo una locanda sulla strada, con portichetto e vista su una verde vallata. Parcheggiamo le moto , ci sediamo a tavola e ci strafoghiamo di köfte (polpette grigliate), insalata turca, kebab.
Dopo pranzo riprendiamo la strada: mancheranno circa 150 chilometri a Istanbul, l’asfalto peggiora, e con lui il traffico. Il caldo è veramente intenso, finalmente appare il cartello stradale che ci indica l’arrivo alla città del Bosforo; adesso il traffico è divenuto frenetico e disordinato, i turchi guidano in maniera indisciplinata. Avvicinandoci al centro della città, in direzione del lungomare, le auto sono incolonnate in lunghe file, a causa dell’ora di punta della chiusura degli uffici, e a malapena riusciamo a farci strada tra i veicoli fermi con le nostre moto dai motori surriscaldati. Finalmente arriviamo sul lungomare; qui la calura è un po’ mitigata dalla vicinanza al mare, e percorrendo la decina di chilometri che ci separa dall’hotel si intravedono già le sagome slanciate delle splendide moschee con i loro minareti affusolati. Devo proprio dire che è una grande emozione arrivare fin qui a cavallo della propria moto. Oggi abbiamo percorso 450 chilometri.
Finalmente arriviamo all’albergo: l’Hotel Kalyon si trova proprio sul lungomare, con una bellissima vista sulla costa asiatica, dove il Mar di Marmara si immette nel Bosforo, e dietro di esso, al termine di una antica strada in salita, si trovano i monumenti più importanti di Istanbul, come la Moschea Blu, Santa Sofia, il Topkapi, le cisterne sotterranee Yerebatan Sarniçi. Inoltre possiede un garage chiuso per le nostre moto. Una volta scaricati i bauletti, preso possesso delle camere, lavati e cambiati dai vestiti da moto impolverati, andiamo a passeggiare tra i bellissimi monumenti che ho appena citato. Sta già calando la sera, le moschee sono illuminate da riflettori che le rendono ancora più belle e suggestive: Aya Sofya, (Santa Sofia) che, maestosa ed imponente, osserva severa il passare dei secoli, le cui mura rossicce illuminate appaiono color oro; la Sultanhamet Camij (Moschea Blu) dalla struttura elegante e ardita, il cui marmo grigio, illuminato nella luce notturna, appare come argento; la Piazza dell’Ippodromo di Costantinopoli, alle spalle della Sultanhamet, dove il tempo si è fermato tra gli obelischi egiziani e la Colonna Serpentina rubata all’oracolo di Delfi, e dove tra luci ed ombre sembra di vedere ancora correre le quadrighe romane. Istanbul è una città magica, è impossibile non innamorarsene perdutamente: secoli di storia hanno lasciato su di lei tracce incancellabili, degne della capitale di due tra i più grandi imperi che la storia ricordi. Proprio nella Piazza dell’Ippodromo è in corso una festa, con tanto di danze tipiche turche in costume, musica etnica e fuochi d’artificio finali. Non capiamo cosa festeggiano, ma lo spettacolo è veramente coinvolgente. Intanto è giunta l’ora di cena, e mentre passeggiamo veniamo attirati da un procacciatore di clienti davanti ad un piccolo ristorante, che si trova in una stradina laterale poco lontano dalla Piazza dell’Ippodromo.
È un locale per turisti un po’ banale, con i tavolini all’aperto sul marciapiedi come se ne vedono in tante città europee, però in verità mangiamo molto bene. Dopo cena, passeggiamo ancora un po’ tra i monumenti illuminati, poi andiamo a dormire. L’indomani iniziamo la giornata con le visite: nel breve tragitto a piedi verso le moschee, la mia telecamera nuova di zecca, che avevo usato solo un paio di volte durante un breve soggiorno a Londra, decide di smettere improvvisamente di funzionare. Dopo aver snocciolato tutte le imprecazioni del caso, ripongo il malefico apparato elettronico e annego lo sconforto dedicandomi ad immortalare scorci e vedute delle tipiche case ottomane in legno, delle quali questo quartiere è pieno, solo con la macchina fotografica.
La nostra prima tappa è Santa Sofia , che sorge di fronte alla Sultanhamet Camij ed è separata da essa da un giardino ben curato. Eretta da Costantino nel 325 d.C. come chiesa cristiana, venne poi ricostruita da Teodosio II°. Nuovamente distrutta, fu ricostruita da Giustiniano che la volle “la chiesa più grande e più bella che ci sia”. Nacque così l’immensa basilica che, dopo la conquista della città ad opera degli Ottomani, venne trasformata in moschea con l’aggiunta di quattro minareti , una fontana per le abluzioni e un “mirhab”. Le immagini sacre e i bellissimi mosaici che ne ornavano l’interno e l’esterno vennero ricoperti di intonaco. Nel 1935 Atatürk decise di fare della chiesa un museo laico e culturale, riportando alla luce i mosaici superstiti. Ancora, dopo tanti secoli, l’aspetto interno di Santa Sofia è grandioso e potente. Usciti da Aya Sofya, proseguiamo la visita attraversando la piazza, con la Sultahamet. Costruita nel 1609 dal sultano Ahmet I°, dal quale prende il nome, è stata dotata, per distinguerla dalle altre moschee, di ben sei minareti anziché quattro. Splendida la sua cascata di cupole , inquadrata dalle guglie appuntite dei sei minareti; 260 finestre filtrano una meravigliosa luce che va a illuminare le maioliche blu e verdi alle quali la mosche deve il suo nome. Bellissimi il “minbar” e il “mihrab” di marmo bianco finemente lavorato, i tappeti di lana e seta che ricoprono il pavimento, i giganteschi lampadari ornati di pietre preziose. Ricordiamo che per entrare in una moschea è rigorosamente d’obbligo togliere le scarpe. Alcuni inservienti forniscono dei lunghi teli verdi alle donne che secondo il loro giudizio sono un po’ troppo scoperte. Dopo questa visita ci spostiamo alle vicine cisterne sotterranee chiamate Yerebatan Sarniçi: questa suggestiva struttura , chiamata anche “il palazzo inghiottito”, dovuta a Costantino, era la cisterna sotterranea dell’antico palazzo imperiale. Giustiniano la ingrandì ulteriormente. Ricorda una cattedrale sepolta: le volte di mattoni sono sostenute da 336 colonne , sormontate da capitelli corinzi carichi di sculture. Dopo anni di restauri, e dopo aver eliminato tonnellate di fango e pietre, sono state portate alla luce le sculture che ornano i piedi delle colonne . Vi è tuttora acqua all’interno, e vi sono stati messi anche pesci. Il tutto è illuminato da suggestivi faretti, con un sottofondo musicale.
Una volta usciti , riattraversiamo la Piazza dell’Ippodromo e prendiamo un autobus a due piani, di quelli che fanno il giro della città passando per i luoghi più significativi: dopo aver lasciato la piazza antistante Santa Sofia, l’autobus scende verso il mare, attraversa il Ponte di Galata, costeggia il Bosforo dalla sponda opposta fino al grande e lussuoso Palazzo Dolmabaçe, residenza degli ultimi sultani, poi percorre i quartieri più moderni con i grandi alberghi internazionali e ritorna verso il ponte di Galata; lo riattraversiamo ma questa volta giriamo verso destra, costeggiamo il Corno d’Oro fino alle rovine del Palazzo dell'Imperatore Giustiniano, proseguiamo seguendo le mura dell’antica Costantinopoli parzialmente restaurate, e passiamo sotto l’acquedotto romano di Valente. Il giro prosegue completando il periplo delle mura antiche, percorre il lungomare passando davanti al nostro hotel poi si arrampica su per una stretta strada in salita che sbuca ai piedi della Sultahamet Camij, dove termina la sua corsa.
Pranziamo in un locale tipico ai piedi della splendida moschea, poi passeggiamo fino al mare e riattraversiamo il Ponte di Galata, per poi salire alla torre omonima. Costruita dai Genovesi, dopo la conquista di Costantinopoli venne demolita della parte superiore e trasformata in prigione. Dall’inizio del XVIII° secolo venne utilizzata per avvistare i focolai d’incendio. Restaurata svariate volte, oggi contiene un ristorante, un caffè e un night club. Dall’alto il panorama è bellissimo; si vede tutta la città, i minareti svettanti di Aya Sofya e della Sultahamet Camij, a sinistra il Bosforo , con le grandi petroliere che sfilano pigramente, a destra il Corno d’Oro con i suoi eleganti palazzi, al centro il Topkapi e dietro di esso, sullo sfondo, il Mar di Marmara. Da questa posizione Istanbul appare in tutta la sua essenza di prorompente bellezza, di enorme fascino, di storia millenaria e atmosfera misteriosa.
Sotto di noi, tra il Corno d’Oro e il Bosforo, c’è un grande traffico di imbarcazion di ogni tipo: petroliere, porta-container, traghetti, barchette che portano a spasso turisti, grandi navi da crociera; tutte viaggiano spedite in ogni direzione possibile, e viene spontaneo chiedersi come facciano a non scontrarsi mai. Scesi dalla torre torniamo in albergo per la doccia. Si è già fatta l’ora di cena, e scegliamo un ristorante vicino all’hotel con terrazza e vista sul mare. Il locale è caratteristico, ma il menù non lascia molta scelta; comunque, ci adattiamo volentieri ai soliti köfte e kebab, e dopo cena passeggiamo nel pittoresco quartiere Cankurtaran, dalle vecchie case ottomane in legno, pieno di ostelli, alberghetti a buon mercato e taverne, che si trova alle spalle del nostro albergo e proprio a ridosso della Sultahamet.
La mattina del secondo giorno di vacanza a Istanbul, ci alziamo di buon ora e, inforcate le nostre moto, saliamo la ripida strada acciottolata che conduce alla piazza che separa la Sultahamet da Aya Sofya: parcheggiate le tre Afriche esattamente a metà della piazza, con i due capolavori architettonici come sfondo, scattiamo una serie interminabile di foto ricordo . Poi riportiamo le moto in garage, e andiamo al porto per imbarcarci su uno dei piccoli traghetti che fanno la spola tra i vari quartieri di Istanbul, sulla sponda europea e su quella asiatica. La nostra imbarcazione percorre tutto il Bosforo in lunghezza, permettendoci di ammirare gli splendidi palazzi storici e le case tipiche che si affacciano sulle due sponde, per poi fermarsi all’ultimo paesino prima dello sbocco sul Mar Nero.
Sbarchiamo qui e ci incamminiamo per l’unica stradina del minuscolo paese, che presto diviene un sentiero e si arrampica sulla montagna sovrastante: vogliamo arrivare al castello semi diroccato che si slancia verso il cielo limpido, abbarbicato alle rocce a picco sul mare. L’ascesa, ripida, è piuttosto faticosa, anche perché fa veramente un caldo da piena estate. Fortunatamente il castello non è molto lontano, con un ultimo sforzo arriviamo in cima all’altura dove sorgono le mura malridotte della fortezza; la struttura è molto rovinata, ma la vista dall’alto della rocca è spettacolare. Sotto di noi, alla nostra sinistra, vediamo l’ultimo tratto del Bosforo poi lo stretto si chiude in una strozzatura che immediatamente dopo si apre in una baia a forma circolare che a sua volta, in lontananza, si immette nel Mar Nero. C’è un grande traffico di navi provenienti da Istanbul, sotto di noi.
Ci sediamo sulle rovine ad ammirare il panorama e a rinfrescarci dalla calura grazie al vento, che qui soffia piacevolmente. Poco lontano, un gruppo di donne turche chiacchierano sedute sull’erba.
Scendiamo poi lungo il sentiero, e ci fermiamo a mangiare köfte e kebab in un piccolo locale che possiede una bella terrazza, ombreggiata da alberi secolari, con vista sullo stretto. Dopo pranzo ci reimbarchiamo, e torniamo verso Istanbul.
Una volta sbarcati, visitiamo il coloratissimo Misir Çarsisi, meglio noto come Bazar Egiziano, che si trova proprio di fronte al molo e accanto alla maestosa Moschea Yeni Camij; al bazar naturalmente cediamo alla tentazione dell’acquisto di dolcetti vari.
Ci fermiamo a bere bibite fresche in un chiosco affollato, alle spalle della Yeni Camij, poi facciamo ritorno in hotel. Questa sera, per cenare, scegliamo un ristorante sul lungomare, a pochi passi dal nostro albergo: è arredato con gusto ed è pieno di avventori, quindi speriamo in bene. Ci portano diversi ottimi antipasti: polipo, insalata con yogurt, salsa di byber piccante, pasticcio di melanzane, poi si passa ai köfte, alle costolette di agnello e al solito kebab. In realtà la carne non ci piace molto, inoltre risulta anche non cotta perfettamente. Poi notiamo che gli altri clienti mangiano tutti pesce, quindi forse è questa la specialità del ristorante, e sulla carne non sono molto preparati. Ormai abbiamo mangiato, comunque, e andiamo a passeggiare nel caratteristico quartiere degli ostelli, prima di andare a dormire. Il mattino del terzo giorno di permanenza a Istanbul sarà dedicato al Topkapi, che si trova a pochi passi da noi. Sulla punta estrema della penisola di Stambul, dove nell’antichità si innalzava l’acropoli romana, Mehmet il Conquistatore decise di far costruire la residenza dei sultani ottomani, ovvero l’attuale Palazzo del Topkapi (o Serraglio). Ha svolto questa funzione dal 1478 al 1853, quando Abdulmecid trasferì la corte nel Palazzo del Dolmabaçe. Nel 1924 il Topkapi venne trasformato in un museo ed aperto al pubblico. In realtà è una vera e propria città circondata da mura, all’interno delle quali si succedono cortili, giardini, vasche, fontane, sale, saloni, chioschi e padiglioni.
Entrando nella prima cinta di mura, si incontra la chiesa di Santa Irene, una delle prime chiese cristiane innalzate dai bizantini. Attraverso l’”Orta Kapi” (porta di mezzo) si accede alla Piazza del Divan. Qui sorgono molti edifici interessanti: le enormi cucine e pasticcerie, dove ora sono esposte collezioni di porcellane cinesi tra le più preziose al mondo, doni, bottini di guerra o pezzi acquistati dai sultani. Un’altra sala contiene gli utensili da cucina utilizzati all’epoca imperiale. Due sale contigue espongono oreficerie e cristallerie fabbricate negli atelier imperiali. La Sala del Divan si trova di fronte alle cucine: qui il Gran Visir riuniva il Consiglio dei ministri. A due passi dalla Sala del Divan si trova l’Harem IMG_2018. Nel XVI° secolo, quasi 1.200 donne vivevano in questo strano mondo fatto di corridoi IMG_2026, anditi, stanzini, boudoir e saloni IMG_2037, bagni e camere, cortili e cortiletti. Le parti aperte al pubblico, con le loro maioliche, i marmi, i legni intagliati, i dipinti murali e i tessuti pregiati, danno solo un’idea della ricchezza di questi luoghi. Contrariamente a quanto si crede, la funzione dell’Harem non era solamente quella di recludere le donne del sultano. Esso costituiva l’insieme degli appartamenti privati dove il Gran Signore e la sua famiglia vivevano.
Negli edifici che circondano il cortile su tre lati sono custoditi, oltre al Tesoro, reliquie e oggetti sacri. La prima porta a destra si apre sulla sala dei costumi imperiali. La sala seguente, la più importante, è dedicata al tesoro vero e proprio, che annovera gioielli unici al mondo: ne nomino solo alcuni: il trono con baldacchino di Ahmet I°, in legno di noce, intarsiato di madreperla e adorno di smeraldi, rubini e turchesi, una culla rivestita d’oro e pietre preziose, i turbanti dei sultani tempestati d’oro e di gioielli, un trono indiano ornato da 25.000 perle, il famoso pugnale dal fodero d’oro, ornato da enormi smeraldi e brillanti, sul cui immaginario furto si incentrava il film “Topkapi”, poi cesti pieni di smeraldi grezzi grossi come uova, e uno splendido diamante da 86 carati, incorniciato da 49 brillanti, appartenuto ad un marajà indiano, poi alla madre di Napoleone, poi al governatore della Morea, prima di divenire di proprietà dei sultani ottomani. E ancora, un trono d’oro massiccio del peso di 250 chilogrammi, tempestato da 954 topazi, un cofano di cristallo di rocca tempestato di rubini e smeraldi, contenente una parte del cranio di San Giovanni Battista; al santo appartiene anche un braccio contenuto in un reliquiario d’oro. Si prosegue nella visita con la Sala delle Reliquie Sante e il Padiglione del Santo Mantello, splendidamente decorati con mosaici. Qui sono religiosamente conservate reliquie appartenute a Maometto: un dente, un pelo della barba, sciabole da combattimento, l’impronta del suo piede, il suo mantello di pelo di capra. In un angolo di questa sala, un muezzin salmodia tutto il giorno le sue preghiere. Due passaggi conducono all’ultimo cortile del palazzo: ubicati in uno scrigno di marmo e giardini, rinfrescati dall’acqua delle fontane, i più bei chioschi dei sultani si trovano qui: il Padiglione di Baghdad e quello di Revan. Alla fine della visita, prendiamo un traghetto che ci scarica sulla sponda asiatica, al quartiere di Üsküdar, dove prendiamo un taxi e ci facciamo accompagnare sulle verdi colline sovrastanti: qui c’è un bel parco alberato chiamato Büyük Çamlica, che con un’altezza di 261 mt. è il punto più alto dal quale si può ammirare il panorama di Istanbul. Nel parco si trova un ristorante caratteristico, con arredamento etnico e specialità della cucina locale. Mangiamo il solito mix di ottimi antipasti, la tipica çorba turca (brodo denso a base di legumi oppure funghi o pomodoro), funghi grigliati e vari tipi di insalata. Dopo pranzo, ripreso il traghetto che ci riporta alla sponda europea ed al quartiere di Eminönü, andiamo a visitare il famoso Kapali Çarsi, più conosciuto come Gran Bazar. È un affascinante, grandissimo mercato coperto, pieno di negozi che offrono le mercanzie più disparate: si va dai generi alimentari alla ceramica artistica, dai casalinghi ai tappeti, dall’antiquariato ai lampadari di vetro colorato, e perfino ai vestiti da odalisca, per finire ai dozzinali souvenir per turisti. Visitando il Gran Bazar, è impossibile resistere alla tentazione dell’acquisto: oltre a qualche regalino per amici e parenti, compriamo un bellissimo lampadario creato con rame e palle di vetro multicolore, che, ben imballato, verrà sistemato in uno dei bauletti della moto di Enzo. A questo proposito, faccio notare che siamo partiti con il bagaglio suddiviso in questo modo: Flavia, solo bauletto posteriore con vestiti, macchina fotografica e telecamera, Enzo, tre bauletti di cui il posteriore con attrezzi e ricambi per entrambe le moto, uno dei laterali con i vestiti e l’altro laterale vuoto, per gli inevitabili e preventivati acquisti. (n.b. il nostro lampadario è arrivato a casa sano e salvo!)
Finita la visita al bazar, rientriamo in hotel a piedi. Per la nostra ultima sera a Istanbul, scegliamo di cenare a base di pesce in un ristorante nel caratteristico quartiere di Cankurtaran; a giudicare dall’affluenza di clientela, pensiamo si mangi bene, quindi ci sediamo in un tavolino all’aperto, seminascosto in uno stretto viottolo. In effetti, oltre ad una grande varietà di antipasti, i piatti a base di pesce che ci facciamo portare sono buonissimi. Spendiamo un po’ di più della solita decina di euro, ma ne è valsa la pena. Ritornando in albergo, ammiriamo per l’ultima volta, alle nostre spalle, i pinnacoli dei minareti di Santa Sofia e della Sultahamet, illuminati dai riflettori, che del resto possiamo vedere anche dalla finestra della nostra camera.
Il mattino seguente ci alziamo molto presto, per riuscire ad uscire da Istanbul prima del traffico intenso. Il cielo è azzurro, fa caldo, e ci avviamo in direzione del confine. Non c’è traffico, ci fermiamo a far colazione per strada, in un’area di servizio, facciamo benzina e proseguiamo. Arrivati in frontiera, espletiamo le formalità di uscita velocemente, anche perché, come all’andata, ci siamo solo noi. Proseguiamo sulla superstrada, e ci fermiamo a pranzo in un paesino greco, poi continuiamo la nostra corsa verso ovest. La nuova superstrada, da questa parte, è aperta per un tratto più lungo rispetto a quello dell’andata, infatti arriva a 150 chilometri circa dopo Salonicco; approfittiamo quindi della strada veloce per percorrere più chilometri possibile. Verso sera ci fermiamo a Kozani, dove termina la superstrada, dopo aver percorso 750 chilometri da questa mattina. Troviamo un grazioso albergo, e a cena andiamo in una taverna che ci hanno consigliato i gestori dell’albergo, da “Kostas”. In effetti si mangia benissimo, ci portano un misto di ottima carne alla griglia, accompagnato da tzatziki e insalata greca, e possiamo andare a dormire soddisfatti. Il giorno dopo, ancora di buon ora, riprendiamo la strada verso Igoumenitza. Abbiamo da percorrere 300 chilometri di montagna, con paesaggi bellissimi attorno a noi; ci fermiamo spesso a scattare foto, perché ne vale veramente la pena. Ad un certo punto, troviamo la strada bloccata dalla polizia, lunghe file di veicoli attendono pazientemente di proseguire; ringraziando di avere le moto, sorpassiamo lentamente gli automezzi incolonnati, fino ad arrivare al motivo del blocco: un camion turco ha perso il carico, che si è rovesciato in parte sulla strada e in parte già dalla scarpata. Arriviamo a Igoumenitza un’ora prima della partenza della nostra nave, quindi parcheggiamo le moto e ci accingiamo alla paziente attesa. La Superfast XI arriva puntualissima, scarica veicoli e persone e carica quelli che, insieme a noi, attendevano al porto. Passando accanto all’isola di Corfù, possiamo ammirare un bellissimo tramonto, velato da alcune nuvole violacee; si fa buio, e attraversando il Canale d’Otranto troviamo mare parecchio mosso. Prima di andare a dormire, mando un sms a Roy, che è andato al Raduno Nazionale nelle Marche. Dice che il tempo è stato orribile, e lancia l’idea, il mattino seguente, di incontrarsi al porto di Ancona, dal momento che lui e Raoul saranno in partenza dal raduno per tornare a casa. Quando sbarchiamo, infatti, i nostri sono lì ad attenderci. È una bella sensazione, trovare degli amici chi ti aspettano al ritorno da un viaggio.
Insieme prendiamo l’autostrada per tornare ognuno alla propria città; a Forlì ci fermiamo in un’area di servizio, con l’intenzione di bere qualcosa di fresco e fare rifornimento. Qui però ci dividiamo: Raoul e Tazio hanno ricevuto chiamate da casa, e devono rientrare di fretta; io, Superquark e Roy, dopo il rifornimento di benzina, decidiamo in realtà di ripartire subito senza la prevista sosta rinfrescante. Nelle vicinanze di Bologna il traffico si fa più intenso, quindi io e Superquark salutiamo Roy, che prosegue fino a Modena, e usciamo a Castel S.Pietro, avviandoci verso casa. L’avventura è finita, siamo riusciti a riportare a casa le nostre moto un po’ sporche ma senza danni, e come sempre cariche di souvenir; adesso quindi, possiamo dedicarci alla preparazione del prossimo viaggio, che si sta avvicinando a grandi passi: il 22 luglio si parte per l’Egitto!!

RICAMBI AL SEGUITO:

- pompa della benzina x RD03 e RD07
- cuscinetti ruote x RD03 e RD07
- 2 centraline x RD03
- filo frizione x RD03 e RD07
- lampadine x RD03 e RD07
- pedane x RD03 e RD07
- leve x RD07
- olio x rabbocco
- kit antiforatura (bombolette+3 leve+manometro)
- camere d’aria rinforzate x RD03 e RD07
- candele
- cacciaviti e chiavi varie
- fascette plastica
- nastro americano e nastro isolante
- lampada 12 volt
- torcia elettrica

INCONVENIENTI OCCORSI

- foratura camera d’aria ruota anteriore RD03 Flavia (sostituita da Tazio)
- rottura filo contachilometri RD03 Tazio (riparato da Tazio)
- dimenticanza libretto di circolazione e patente di guida Flavia, che la prossima volta prima di partire farà una cura di Acutil Fosforo (!!!!!)


NOTIZIE UTILI

Igoumenitza in Grecia, porto di arrivo (oltre a Patrasso) dei traghetti che partono da Ancona (e da Brindisi) dista da Istanbul 1.050 chilometri: in 2 giorni di viaggio si raggiunge agevolmente.
I traghetti, di diverse compagnie (Superfast, Anek, Minoan) impiegano 15 ore per effettuare la tratta Ancona-Igoumenitza e sono puntualissimi.

Il costo di un pasto a Istanbul può variare dai 25 €, in un ristorante elegante, ai 10 €, in un ristorante medio/economico.

Istanbul merita un soggiorno di almeno 3 giorni, durante i quali sono da non perdere queste visite: la Moschea Blu, Santa Sofia, le Cisterne Yerebatan, il Topkapi, che sono tutti vicini l’uno all’altro e raggiungibili in due passi, la veduta della città dalla Torre di Galata e dalla Büyük Çamlica, la gita in barca lungo il Bosforo con escursione al castello, il Bazar Egiziano e il Gran Bazar.